Intervistato dal settimanale cattolico belga "Tertio" il Papa ha risposto a una generica domanda sui mezzi di comunicazione elencando quattro tentazioni (sostantivo abituale nel suo magistero: lo segnalo ai curatori del "Vocabolario di papa Francesco") dalle quali devono guardarsi, che hanno tutte a che fare con la verità. Sottolineo la terza, che chiama «disinformazione». Cioè, «di fronte a qualsiasi situazione dire solo una parte della verità e non l'altra». Francesco dice infatti che «è probabilmente il danno più grande che può fare un mezzo, perché orienta l'opinione in una direzione». E poi la quarta, che definisce «coprofilia» e «coprofagia», e sulla quale si sono fatalmente concentrati i titoli di alcuni giornali. È la malattia del «voler sempre comunicare lo scandalo, comunicare le cose brutte, anche se siano verità», trovando risposta nei lettori-utenti. Chino il capo e inizio l'esame di coscienza, colpito dalla scelta di parole così dure. Che mi rimandano a osservatori lontani, nel tempo, nella cultura, nel ruolo pubblico. Diversi anni fa, in un'intervista al mensile di fede e cultura "I Martedì", Alessandro Bergonzoni espresse un giudizio severo sugli effetti di parte della programmazione tv con l'eufemismo «è come bere il fango». Fango, cose, sporche, inquinate... Quanto a ciò che Francesco, con espressione che viene dal Novecento, chiama disinformazione, e che mi pare apparentabile alla post-verità di cui improvvisamente, nel 2016, tutti discutiamo, ho appena letto in proposito, sul blog di Luca De Biase, un lucidissimo programma per un'ecologia dei media. Si parte dalla convinzione che «le decisioni peggioreranno» in «una società frammentata in tribù convinte delle loro opinioni e disabituate a verificarle», e si ipotizza come la Rete possa essere parte della soluzione, oltre che del problema. Un programma che, anche alla luce delle parole del Papa, potrebbe certamente trovare aderenti in chiunque comunichi, specie in Rete, secondo un'ispirazione cristiana.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: