«Qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo», presente in questa pandemia, «che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, attraverso i mezzi di comunicazione». La blogosfera ecclesiale ha accolto con comprensibile interesse un lungo inciso, pari a tutta la seconda metà, dell'omelia che papa Francesco, durante la Messa da Casa Santa Marta di venerdì 17 (puntualmente riportata da "Avvenire" bit.ly/2VEHyQj ), ha dedicato al rischio attuale di «viralizzare la Chiesa», dal quale lo ha messo in guardia un vescovo. Forse questi voleva dire «virtualizzare», ma comunque il Papa ha ben capito di cosa egli parlasse. Posta nel contesto di una meditazione sulla natura comunitaria della familiarità del cristiano con il Signore, l'affermazione di Francesco è in effetti da sottolineare, perché ci dice qualcosa tanto sul presente quanto sull'immediato futuro. Sul presente l'insegnamento è: abbiamo fatto bene, cari preti e cari vescovi, a utilizzare la comunicazione digitale in questo tempo.
Padre Federico Lombardi, nella nuova rubrica sui media vaticani "Diario della crisi" ( bit.ly/34MQlnw ) il giorno prima aveva spiegato perché Francesco abbia ultimamente concesso ciò che aveva sempre negato, e cioè la trasmissione in diretta della sua Messa quotidiana. E Andrea Tornielli, commentando l'omelia ( bit.ly/2XNC1JU ), ha ricordato che questa modalità «sta portando conforto a tante persone nelle ultime settimane sostenendole nella solitudine e nella prova». Ma guai se pensassimo che le novità sperimentate, specie in campo liturgico, possano diventare nel futuro permanenti, casomai risolvendo attraverso di esse gli ormai annosi problemi della vita pastorale nelle "vecchie" Chiese dell'Occidente. Questa familiarità virtuale di oggi, ha concluso il Papa, è «per uscire dal tunnel, non per rimanerci»: questa è «la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l'ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre».
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