Scotta, letteralmente, il mio notebook mentre tento di seguire la visita di papa Francesco a Milano contemporaneamente su “tutti” i canali possibili. E quando dico “tutti”, intendo sia le versioni digitali dei mezzi di cui la Santa Sede, la Chiesa italiana e la Chiesa di Milano sono gli editori, sia le “dirette” sui siti di altri, grandi media, sia quelle postate sui social network dai cronisti “professionali” e da quelli “non professionali”. Più i commenti di chi, come me, grazie alla Rete sta seguendo gli eventi senza esservi presente fisicamente.
Penso alla definizione di Francesco come «Papa twittabile» mentre scorro l'hashtag #papamilano2017, che si aggiorna più o meno di un tweet ogni 5 secondi: cosa che rende impossibile tenergli dietro. Vedo che, accanto a quelli delle redazioni, e inframezzati a tante parole banali, inutili e ostili, vi sono anche i messaggi di chi, da “utente semplice”, coglie subito, in ciò che il Papa dice e fa, le sottolineature più importanti, quelle più cariche di significato, quelle che certamente finiranno nei titoli dei servizi giornalistici. Poi ci sono le immagini, che accompagnano praticamente ogni testo, anche solo per dire: la nebbia si è diradata. In effetti, le panoramiche delle riprese video sulle persone assiepate nei luoghi in cui Francesco è atteso o presente (con una qualche moderazione solo all'interno del Duomo e durante i momenti liturgici) mostrano selve di smartphone e di tablet levati in alto, a dispetto dei foto e video reporter. E si capisce che chi scatta subito mette l'immagine in circolazione, in una qualche forma.
Credo sia questo, pur circoscritto a una sola giornata e a un solo evento, il «sovraccarico informativo» di cui parlano quanti studiano la comunicazione nel nostro tempo, e al quale tutti, ormai contribuiamo. È il mondo che il Papa stesso, in una delle risposte date ieri in Duomo, ci ha raccomandato di insegnare – ma io direi, prima, di imparare –, ad attraversare. Con discernimento.
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