Quando è nato Delio Rossi, nel Sessanta, il calcio mi incuriosiva. E basta. Mi appassionavano i profili di certi protagonisti, quelli che oggi chiamo, alla Longanesi, Vecchi Fusti. Uno di questi eri Gipo Viani, detto anche lo Sceriffo di Nervesa della Battaglia, maestro della Scuola Salernitana. Che non è, come si potrebbe pensare, l'antica scuola medica che raccomandava di curare il corpo come lo spirito, ma quel particolare pensiero calcistico che si chiamò appunto «Vianema» e partorì prima la figura del "libero" e insieme quello stile di gioco che contribuì al successo del calcio "all'italiana".
Dieci anni fa, seguii la rinascita della Salernitana che riconquistò la Serie A dopo mezzo secolo: la prima volta c'era riuscito Viani, la seconda Delio Rossi. Il primo era stato un inventore, il secondo ci provava, ottenendo finalmente, dopo disastrosi effetti zemaniani, un concreto successo. Il primo guadagnò il plauso di una critica eccellente e l'inimicizia di potenti, il secondo poco più di un applauso dal popolo salernitano e tanta indifferenza altrove. Da una parte la Storia, dall'altra la cronaca. Poi arrivò il Real Madrid.
Non voglio - nè potrei - introdurre Delio Rossi nella Storia del calcio ma in quella del costume calcistico sì. Alla vigilia del confronto fra i ricchi e potenti signori del Real e la sua Lazio povera ma bella (gli ingaggi dei "blancos" sono dieci volte quelli dei "lotiti") Delio ha confessato serenamente la sua felicità: ci aveva pensato fin da ragazzino, nella Rimini felliniana più appassionata di donne che di pallone, al Real Madrid: una sorta di traguardo di vita. Questo, finalmente raggiunto, non gli incuteva paura ma curiosità, professionale e personale insieme. Dunque - gli suggerivano - basterebbe giocargli contro, non vincere. E lui, pur modesto: e invece ci proveremo, a vincere. Ci ha provato, ci è quasi riuscito e in ogni caso, grazie al piede di Pandev ha fatto tremare lo squadrone spagnolo. Lo hanno sgridato perchè ha fatto giocare Rocchi con una caviglia malandata e Rocchi ha sbagliato un paio di gol. E lui, Rossi, con lo spirito dell'innamorato del pallone: «Aveva tanta voglia di giocare... come puoi negare a un ragazzo la partita della vita?».
Sto scivolando nel deamicisiano ma garantisco che Delio Rossi è lontano dall'indossare i panni del buon Garrone, anzi, quando fa il derby con la Roma mi sembra più il malvagio Franti. No: lo colloco semplicemente, con nostalgia, nel mio vecchio bar Sport di Rimini, dove non si strillava nè si progettavano sassaiole o azioni squadriste, ma si parlava di calcio con rispetto. Quello dovuto - ad esempio - a Gipo Viani, l'involontario maestro di Delio Rossi.
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