Il primo fu lo storico Trattato dell’Eliseo con la Germania, firmato da De Gaulle e Adenauer, di cui proprio oggi, 22 gennaio, Parigi e Berlino celebreranno solennemente il 60° anniversario. Si trattò davvero di un giorno radioso, perché a meno di vent’anni dalla conclusione della immane strage causata dalla seconda guerra mondiale, i due antichi nemici si davano con forza la mano, promettendosi pace e collaborazione, senza più rivendicare torti o accampare pretese: un passo di grande significato, favorito certamente anche dall’avvio del processo unitario europeo, soprattutto con la firma di sei anni prima, nel Campidoglio di Roma, del patto istitutivo della Comunità economica.
Con minore impatto simbolico e molto tempo dopo, il 26 novembre del 2021, è stata la volta del Trattato del Quirinale con l’Italia, siglato dopo una lunga gestazione, presto messo in difficoltà e rilanciato nei giorni scorsi, a chiusura - si spera - della mezza crisi diplomatica con Roma sull’accoglienza degli immigrati. Adesso infine (almeno per ora), la Francia di Emmanuel Macron ha concluso una nuova e consistente intesa “bilaterale” con la Spagna di Pedro Sanchez. Giovedì scorso ha visto infatti la luce il “patto di
Barcellona”, un denso accordo di amicizia e cooperazione in dieci capitoli, che fissa obiettivi ambiziosi di più stretta collaborazione fra i due Stati separati dai Pirenei, in materie cruciali come la difesa, l’energia e l’istruzione.
Ci si potrebbe domandare, se vogliamo con una certa dose di ingenuità, a che cosa servano tutti questi accordi “a due”, fra Paesi che già sono legati in maniera strettissima dalla comune appartenenza alla Ue: una realtà unitaria ad alto tasso di coesione, se è vero che la Gran Bretagna, nel momento in cui ha preso la contestatissima decisione di uscirne con la Brexit, ha penato e fatto penare gli ex-partners per parecchi anni (e ancora le lacerazioni sono ben lontane dal rimarginarsi).
Ebbene, è evidente che il presidente francese persegue l’obiettivo di creare attorno al suo Paese una rete di relazioni privilegiate e, soprattutto, di assegnare a Parigi un ruolo centrale e possibilmente trainante, sia all’interno dell’Unione Europa che nel più ampio scenario internazionale. Sperando di assumere, se non anche sul terreno economico almeno su quello politico, il ruolo di leadership e di “locomotiva” del Vecchio Continente, che la Germania del dopo-Merkel non sembra più in grado di poter
conservare.
Saranno i fatti a dire quanto ci sia di realistico e quanto di velleitario nelle iniziative del presidente francese. I diplomatici e gli esperti di geopolitica si stanno cimentando nel valutare i pro e i contro di questa sua strategia “a mosaico”, in cui la tessera centrale si colloca ovviamente sempre sulle rive della Senna. In particolare, ci si chiede se nell’ambito dei Ventisette queste mosse favoriranno o complicheranno la ricerca di intese sui dossier interni più delicati e verso il resto del mondo.
Nel frattempo, Emmanuel Macron sembra quasi prendere atto che gli antichi sogni di “grandeur” di gollista memoria non hanno più grandi possibilità di concretizzarsi. Meglio allora ripiegare su un ruolo di “pivot”, come nel basket, a prescindere dall’effettiva statura. Anche se non andrà sempre a canestro in prima persona, resterà comunque il punto di riferimento principale nella lunetta. In fondo, è un po’ come il vecchio “Re Sole”: forse meno splendente, ma con gli altri pianeti costretti a ruotargli attorno.
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