C'è un testo dell'Antico Testamento riportato da due profeti, Isaia (2,2-5) e Michea (4,1-5), in modo quasi identico in cui si trova l'invito a salire al monte del Signore. L'appello è rivolto da un popolo all'altro poiché protagonista della salita sono diverse nazioni. La meta è il tempio, la residenza divina, il luogo del culto sacrificale. Il testo indica anche lo scopo del pellegrinaggio universale: imparare le vie del Signore per camminare nei suoi sentieri. Al cospetto di tutti i popoli Dio esercita la sua suprema magistratura. Dice il testo che «egli sarà giudice tra le genti e arbitro tra molti popoli» (Is 2,4; Mi 4,3).
Il frutto del suo giudizio ha un impatto decisivo ed eversivo sulle sorti internazionali. La risoluzione delle etnie della terra come frutto della visita fatta a Dio sul suo monte santo suona in questo modo: «Spezzeranno le spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci» (Is 2,4; Mi 4,3). Ciò che produceva morte è trasformato in quello che serve la vita. Ecco la vera eversione. Questo è l'esito della salita al monte del Signore: le armi sono diventate attrezzi agricoli, l'arte della guerra è divenuta obsoleta, dal monte del Signore discende la pace. La montagna del Signore non è solo spazio liturgico, ma proprio perché lì si celebra il culto dell'unico vero Dio essa è anche fucina di pace vera.
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