Fuori dal Comune (ma spesso anche dentro...) s'incontra una categoria di persone che mi piace chiamare "miglioristi". No, non c'entrano nulla con la storica corrente moderata del Partito Comunista; anzi, non di rado i "miglioristi" cui alludo stanno piuttosto col centrodestra. Si tratta invece di individui ottimamente intenzionati, positivi (meglio: propositivi), che s'informano e stanno aggiornati, e che – alla fine di un personale accanito processo di ricerca – vengono a offrire all'amministrazione il loro convinto contributo "migliorista", appunto.
Il totem elettronico per rintracciare i morti al cimitero. Le luci a led che si accendono non appena posata la scarpa sulle strisce pedonali. Le colonnine per la ricarica elettrica in tutti i parcheggi cittadini. L'apertura della biblioteca a orario continuato e fino a tarda sera. Il certificato di treeclimbing per chi pota gli alberi lungo le strade. Il vigile in borghese in ogni quartiere... Il "migliorista" è ricco di ottime idee, tutte utili e intelligenti, cose di buon senso, spesso all'ultimo grido della tecnologia e comunque già sperimentate con successo in altre località: e con premesse di tal genere, come si fa a dirgli di no?
Ovvio: non si può. Quale pubblico amministratore, del resto, sarebbe capace di sostenere che il sistema elettronico con cui si controlla l'occupazione degli stalli di parcheggio è "inutile"? E che razza di assessore sarebbe colui che si oppone a un "piano regolatore" degli innumerevoli pali e paletti sparsi in città, in modo da razionalizzarne l'uso – e reprimerne la proliferazione? Si tratta di scelte interessanti, innovative, persino gratificanti per il politico che le proponesse... Ma rappresentano davvero il "bene comune"?
«Vivere è scegliere», diceva qualcuno; e amministrare ancor di più. Con i chiari di luna della crisi economica e la mannaia del Patto di stabilità pronta a scattare già a metà bilancio annuale, infatti, le giunte comunali della Penisola sanno ormai benissimo che ogni sfizio si paga caro. Ma certo che si potrebbe dotare ogni quartiere delle "case dell'acqua" e pure di quelle del latte a km 0 (due must degli enti pubblici negli ultimi anni)! Però allora bisogna rinunciare a qualcos'altro... Allo stesso modo piacerebbe assai attrezzarsi con un bike sharing – altro oggetto del desiderio di tanti sindaci – per girare gratis a pedali in paese; tuttavia dobbiamo calcolare se questa è davvero la nostra necessità primaria...
Il guaio è che i "miglioristi" raramente si accontentano e quasi mai hanno pazienza. Il solo fatto che la loro idea sia intelligente e utile comporta cioè la conseguenza che si debba realizzare: subito e a ogni costo. «Che ci vuole? Basta volerlo!». Non c'è programma di governo, né obbligo di legge, né lista di priorità che tengano: sono quelli del «detto, fatto». E qualunque amministratore, elenco delle altre urgenze alla mano, tenti di indurre a programmi più ragionevoli e magari scaglionati, si trasforma immediatamente in nemico dell'evidenza: «Che ci vuole? Basta volerlo! Ma allora voi non volete farlo...».
Bisogna perciò avere polso fermo e un certo sprezzo della popolarità per richiamare al rispetto di un ordine di urgenze, che è poi primariamente quello del «bene comune» così come lo si è enunciato in pubblico al momento delle elezioni. Non che la macchina municipale, sovente pachidermica e pigra, non debba giovarsi degli stimoli estemporanei e anche del pungolo di idee nuove, di proposte che la scuotano: ben vengano le «buone pratiche» e il loro contagio. Ma occorre munirsi pure della lucidità e della libertà intellettuale per poter decidere caso per caso ciò che è obbligatorio e cosa no, che cosa più essenziale e cosa secondario. «Il meglio è nemico del bene», si diceva una volta: "miglioristi", pensateci.
r.beretta@avvenire.it
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