Il Leopardi di Rubini: un pensatore senza retorica
giovedì 9 gennaio 2025
Sergio Rubini per il suo Leopardi, il poeta dell’infinito (Rai 1, martedì e ieri in prima serata) ha fatto una scelta precisa: lo fa raccontare da Antonio Ranieri sotto l’effetto dell’emozione per la prematura morte dell’amico fraterno e della disperazione per dargli degna sepoltura in una Napoli del 1837 in piena epidemia di colera con i morti che senza funerale venivano gettati in fosse comuni. Il regista pugliese, che ha anche scritto la miniserie con la moglie Carla Cavalluzzi e Angelo Pasquini, premette così che la sua, attraverso il personaggio di Ranieri e una serie di flashback, sarà un’interpretazione soggettiva, ma non per questo meno appropriata, del poeta di Recanati. Di fatto una libera rilettura sfrondata dalla retorica letteraria e scolastica con cui finora è stato studiato e raccontato Giacomo Leopardi (1798-1837). Non a caso tra le opere più rammentate, al di là delle celeberrime poesie (L’infinito, A Silvia…), ci sono le molto meno conosciute Operette morali dove in forma di prosa è più esplicita la riflessione filosofica sul mondo e sull’umanità, che poi è quello che interessa a Rubini, ovvero il pensiero del poeta, a garanzia del quale c’è anche la consulenza letteraria di Davide Rondoni. Per cui bando all’immagine del giovane nichilista ripiegato su stesso e spazio a un bambino prodigio che non disdegna i giochi e gli scherzi e che da adolescente si ribella ai genitori come tutti i ragazzi di quell’età per poi affrontare una vita, sia pure difficile sul piano economico e della salute, attraversata dal bisogno d’amore, di bellezza e di conoscenza diretta dell’umanità ben oltre la ricchissima biblioteca del padre dove il giovane Giacomo avrebbe dovuto «vivere qualsiasi avventura del passato, del presente e del futuro» in vista della carriera ecclesiastica. Leopardi divorerà quei libri, ma rifiuterà la tonaca, vivrà amori non ricambiati e forti legami d’amicizia con il rammentato Ranieri (Cristiano Caccamo) e prima ancora con Pietro Giordani (Fausto Russo Alesi), il suo vero scopritore e liberatore. Personaggi sui quali Rubini appoggia un poeta senza etichette, libero e avverso al compromesso, dall’aria perennemente adolescenziale grazie all’interpretazione dell’esile Leonardo Maltese, che doveva anche fare i conti e andare oltre l’immagine del precedente e più recente Leopardi interpretato da Elio Germano (Il giovane favoloso). Tra gli altri interpreti Alessio Boni (il padre), Valentina Cervi (la madre), Giusy Buscemi (Fanny) e Alessandro Preziosi (Don Carmine) per una grande produzione in costume, con qualche lentezza e alcuni personaggi un po’ macchietta (il precettore, i giovani intellettuali fiorentini…), con ambientazioni poco realistiche (si veda ad esempio la Napoli notturna dell’inizio sotto la tempesta con tanto di mare mosso e Vesuvio fumante), ma suggestive e di forte impatto in sintonia con la dichiarata scelta di fondo. © riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: