domenica 8 gennaio 2023
Nella mèsse sterminata di parole e di scritti che Benedetto XVI ha lasciato in eredità alla Chiesa e al mondo, numerosi e importanti sono quelli dedicati all’Europa e al suo destino nella storia. Non soltanto al suo passato, soprattutto alle sue vicende odierne e al suo possibile domani. Il futuro del “suo” continente stava in effetti particolarmente a cuore a Papa Ratzinger, che in più occasioni si è rivolto ai responsabili delle istituzioni politiche e culturali, sia
dei singoli Paesi che di quelle comunitarie. E da questo punto di vista, il discorso forse più intenso e ricco di stimoli, spesso citato in questi giorni di lutto e di rievocazioni, è quello pronunciato nel Collège des Bernardins di Parigi, il 12 settembre del 2008. Per oltre un’ora, davanti a quasi 700 invitati in buona parte dichiaratamente non credenti, il successore di Pietro si inoltrò nelle “origini della teologia occidentale” e nelle “radici della cultura europea”, dando ragione della speranze di cui si sentiva umile ma sicuro testimone. Al tempo stesso, riconsegnò a quanti l’avevano dimenticato o non ne avevano mai avuto sentore, il senso profondo della loro comune appartenenza a un unico popolo, figlio di un Vangelo che nei secoli ha ispirato costruzioni statuali e assetti sociali diversi, spesso purtroppo in feroce conflitto fra loro, ma al dunque sempre in grado di ritrovarsi e di parlarsi in nome di una stessa matrice umanistica. Certo, le vicissitudini che stanno segnando gli iniziali anni Venti del Duemila, con il flagello pandemico e la crudele guerra “tra cristiani” in Ucraina, hanno di nuovo scosso la fiducia di questa parte del mondo. Ma nel messaggio di quindici anni fa, il Pontefice offriva delle chiavi per non cedere alla rassegnazione e per evitare il peggio. Anzitutto il richiamo a quel “quaerere Deum”, che mosse San Benedetto e i suoi seguaci a fondare una civiltà più che millenaria: una ricerca che si può non condividere ma che non si può svilire e contrastare come irrazionale o pericolosa. “Cercare Dio - disse - e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi”. Accanto a questo, Papa Ratzinger invitava a riflettere sull’importanza fondamentale del “legame” comunitario che il monachesimo ha trasmesso, assieme alla ricerca personale del divino nella Scrittura. Negare alla radice questa connessione “dell’intelletto e dell’amore”, in nome di una pretesa libertà personale che non vuole conoscere limiti, non è forse all‘origine di tante frustrazioni, anche nella ricerca di uno vero “spirito europeo”? Non è fra le cause di egoismi, risorgenti nazionalismi e rivalità fra i cittadini dell’Unione? E ci si può anche interrogare su quanto la ricerca spasmodica di nuovi e indiscriminati “diritti” individuali induca ulteriore ripulsa nei confronti di un’idea di Europa avvertita come sempre più estranea. “Sarebbe fatale - avvertiva Benedetto XVI -
se la cultura europea di oggi potesse comprendere la libertà ormai solo come la mancanza totale di legami e con ciò favorisse inevitabilmente il fanatismo e l’arbitrio”. P.S. Dispiace che, accanto a esponenti di quasi tutti i Paesi europei, ai funerali di venerdì non fosse presente nessun vertice della Ue. © riproduzione riservata
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