Arrivano lettere, inviti, richieste per incontri e c'è sempre un buon motivo, una storia a sostenerli; immagino belle persone. Interessa il percorso di conversione: come si fa uscendo da un mondo che professa ogni avversione alla Chiesa a ritrovarsi, definirsi, cattolico senza alcun aggettivo che ne attenui la portata. Interessano le motivazioni che sostengono ed hanno propiziato la scelta di tornare a vivere in un borgo di montagna, prima lontano e poi sempre più estraneo a tutto ciò che sembra indispensabile. Se accettassi passerei buona parte dei miei giorni in giro a dare testimonianza delle ragioni di una scelta che non avrei tempo di vivere. Ne guadagnerebbe il relatore non certo il testimone: parole contro quotidianità. O si racconta quello che si vorrebbe fare o lo si fa. Giornate di neve e sole, bianco blu in tagli netti, gelide folate di tramontana ad ombreggiare, per un istante, il nitore dei contorni. Un pizzico di cenere sul capo – ricorda: polvere eri e polvere tornerai –. La neve, che si presenta al piano, in città, come calamità splende sui monti e riluce sulle piste come benefica deità attesa e propiziata. La sua latitanza è rovinosa per il sistema economico sociale a cui si è votata la montagna moderna; la sua presenza si traduce in ricchezza: da simbolo di parsimonia ad immagine di consumo. Sulle strade, subito ripulite, colonne d'auto e pullman la inseguono nelle stazioni sciistiche; parcheggi intasati che non bastano mai nella decina di giornate perfette che fanno la stagione e garantiscono l'economia di un anno. Per secoli vivere in montagna è stato un destino accettato, duro, non senza soddisfazioni; anche una via di fuga da una costrizione sociale che difficoltà logistiche di comunicazione e d'imposizione se non riuscivano ad azzerare certo limitavano. Gli Archivi del Duca di Modena registrano una interminabile sequela di lagnanze circa il mancato pagamento di tasse e dazi e ribadiscono le difficoltà di controllo sulle comunità di crinale. Montagne e libertà sono state un buon connubio. Il lascito della modernità è l'abbandono delle terre alte. Lo svuotamento ha sedimentato isole di sviluppo turistico un po' rapina, un po' circonvenzione di incapaci, comunque imposizione di una economia incentrata sulla fruizione massificata di strutture funzionali agli sport invernali. Agricoltura, allevamento, forestazione, base materiale di una cultura e strumenti operativi nel paesaggio sono scomparsi. L'avvento e il propagarsi di nuove ideologie salvifiche rischiano ora di fossilizzare tutto ciò che è scampato all'onda cementizia del turismo di massa. Figuranti e vigilanti sono l'unico possibile futuro dei montanari? I primi ad inscenare il relax, la vacanza, il tempo libero ecologicamente corretto, i secondi a controllarne modalità e flussi di fruizione. Montagne e servitù come connubio a venire? Cosa succederà delle nostre montagne dipenderà innanzitutto da noi che le amiamo, le abitiamo. Essenziale è abitarle trovandovi possibilità di sostentamento economico. Essenziale è abitarle fomentando una coscienza che aspira a farsi cultura montana. Essenziale è sentirsi parte di una storia, agenti di una tradizione che non è nostalgia del passato ma nutrimento del presente. Vasto programma. Ad ognuno la propria parte. Io per parte mia…
(continua)
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