Nell'androne di casa, uno stabile d'inizio Novecento, c'è un gradino su cui noi condomini passiamo ogni giorno. Quel gradino, benché di marmo, mostra un piccolo segno di usura, un lieve assottigliamento della lastra. Il marmo, liso dai passi di quattro generazioni. Allora ho cercato di immaginare l'anno 1905. Le donne con le gonne lunghe della Belle Époque, i ragazzini per mano alle balie – quei ragazzi che sarebbero andati sul Piave, o a Caporetto. Vedo la loro partenza, in divisa, per il fronte, le madri desolate su queste stesse soglie: mio Dio, è incredibile cosa racconta quel gradino. Poi gli anni Venti, le camicie nere. Le leggi razziali: anche qui, mi domando, sono venuti a rastrellare uomini e donne e bambini? Le bombe del '44 hanno abbattuto la casa di fronte, ora c'è un palazzo di quindici piani. In cantina, da noi, ancora su un muro si intravvede la "U.S", Uscita di sicurezza. Chissà le ore qui sotto con i figli piccoli, nel fragore delle esplosioni. La pace poi: e nuovi figli, ignari di tutto. Passi, passi ancora sul gradino. Infine, vent'anni fa, il primo camminare incerto dei nostri bambini. Il gradino mi ripete da una vita: sappi che passate in fretta, e scomparite. Sembriamo un nulla, in quel marmo consumato. Ma io no, adesso io non credo più al nulla. E guardo in pace la lastra lisa nell'androne.
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