Siamo immersi nell'assillo di ricordare, di ripercorrere le tracce lasciate dai nostri ricordi, di rimettere insieme quelle dimenticate, rimosse, cancellate, di capire la ragione dei nostri oblii. Non comincia con Auschwitz, certo, ma chissà, con Freud o forse con la letteratura che scava nell'interiorità, da Rousseau a Proust e alla sua ricerca del tempo perduto. Ma dopo Auschwitz questo assillo è cresciuto dentro di noi, assumendo la natura di un imperativo etico: tu ricorderai. Un librino di uno psichiatra ed etologo francese, Boris Cyrulnik, che torna dopo oltre sessant'anni nei luoghi dove era stato arrestato bambino, a Bordeaux, ci aiuta a decifrare i meccanismi di questa ricerca di memoria. Perché ciò che il vecchio Cyrulnik scopre mettendosi sulle tracce del suo io bambino è la necessità di prendere le distanze, di non esser sommerso dalla memoria: dominare la rappresentazione del passato, diventarne padrone, capirne i meccanismi di resistenza, ripercorre le sensazioni provate nel passato senza lasciare che si scatenino in maniera incontrollata. È nel confronto fra la sensazione del proprio io passato e la ricostruzione minuziosa della realtà che la memoria emerge, se non pacificata almeno elaborata e pronta a guardare avanti, verso il futuro.
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