Non so dire come mai mi sia venuta la curiosità di sapere se in Rete qualcuno promette di farci sapere la data della nostra morte, ma so che alla prima, elementare ricerca su Google ho subito trovato, con un certo stupore, un'intera schermata di link utili a questo proposito. Perlopiù fanno una serie di domande abbastanza normali sui dati anagrafici e sullo stile di vita dell'interrogante: abitudini alimentari, tipo di lavoro, attività nel tempo libero, consumo di tabacco, alcol e droghe, soddisfazioni nella vita affettiva e sociale, ecc. Alcuni poi la mettono in burla, sia commentando con ironia le risposte, sia offrendo risultati improbabili, tipo: “Accidenti, dovresti essere già morto. Che ci fai ancora qui?”, o comunicandoli in forma cimiteriale. Altri invece declinano più seriamente il loro ruolo, specie nella parte introduttiva al questionario vero e proprio, dove, “filosofando pure sui perché”, si preoccupano che il soggetto che intraprende il calcolo abbia le disposizioni giuste. Uno, in partnership con le Nazioni Unite, finalizza il “gioco” a sensibilizzare le persone rispetto al ritmo di crescita della popolazione che vive sul pianeta e a come cambiano le aspettative di vita a seconda di dove si risiede. È quello che, per ovvi motivi, fa meno domande di tutti.
In senso lato, anche questa relativa alla data della propria morte costituisce una “informazione religiosa” digitale, sebbene i cristiani sappiano che non è dato né acquisirla, né vivere come se l'avessimo più o meno acquisita (il che è ciò che si fa più spesso, anche senza aver mai avuto il conforto di una previsione “scientifica”). Eppure non ho trovato nelle pagine web che ho sfogliato alcun riferimento alla trascendenza, nemmeno con quelle espressioni che concedono a chi crede nella vita oltre la morte il beneficio del dubbio. Questo forte orientamento immanente fa pensare che il loro successo sia nutrito di scaramanzia: più scherzo con la morte, più ne esorcizzo la realtà.
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