Il monastero è in Ferrara, città in cui Bacchelli aveva ambientato parte del suo «Mulino del Po»: sono frati cappuccini e mi ospitano una notte in una loro cella. Le tortore tubano emettendo un suono grave e gutturale, che contribuisce a rendere ancora più autunnale la nebbia fra le foglie sfinite. C'è una pace sospesa e, percorrendo tutti quei corridoi, fra loro connessi come in un gomitolo largo, pare di percorrere dall'interno, il tubo continuo di uno strano strumento a fiato per una imprevedibile biblica laudatio. È lì che conosco, o almeno vedo, il centenario padre Placido. Mai nome fu più adeguato alla persona che lo porta; gli sta come il suo saio, che ha le sue stesse rughe, tali da poter essere tranquillamente scambiati l'uno per l'altro. Placido dialoga e interpreta le rane che stanno nella fontana al centro del chiostro «L'è mòrt, l'è mòrt», annuncia la prima rana. «Quand, quand, quand?» chiede una seconda, «Ma ièr, ièr» precisa ancora la prima. Placido informa così il convento, del lutto anfibio avvenuto. I frati non possono tenere animali nelle loro celle ma per lui, Placido, si fa eccezione. Lo segue infatti, altrettanto placido, un vecchio gatto che gli porta, mai visto, il giornale, tenendolo debitamente piegato nella bocca. Quando finalmente ci incrociamo tutti e tre, il frate, passando oltre, mi regala un sorriso. È come una benedizione, la porto ancora con me.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: