Ilinguisti di professione generalmente tacciono, in ubbidienza al discutibile principio secondo il quale per essere davvero e seriamente “scientifici” bisogna astenersi dal giudicare limitandosi a constatare, magari con ottimismo “progressista” qualunque nuovo fenomeno investa l'uso della lingua italiana. Tendono cioè a trattare le scienze umane (sociologia, economia, psicologia, comunicazione) come se fossero scienze della natura (fisica, chimica, biologia, astronomia). Può succedere tuttavia che qualche parlante italofono perda la pazienza di fronte all'attuale, ridicolo e fastidioso abuso di lessico inglese nel parlato e nello scritto, in tv, nei giornali e in ogni medium di massa, ufficiale o informale. Ho ricevuto qualche giorno fa da un vecchio amico di gioventù, Sergio Mancinelli, autore di bei racconti sulla vita di Testaccio anni Cinquanta, un opuscolo intitolato Noi, inglesi in Italia? Si tratta di un'autoedizione nata da una ricerca magari poco scientifica ma molto personalmente motivata. Mancinelli non vuole certo tornare indietro a una ipotetica e utopica, antistorica purezza dell'italiano. Nota però con inquietudine l'alta quota di conformismo rivelata dall'uso coatto e snobistico, nonché spesso impreciso, del lessico inglese, anche quando il corrispondente italiano sarebbe ovvio come nel caso di location, last minute, low cost, spread, gap, fake news, feeling, fifty-fifty, elevator, e-commerce, delivery, box, after shave, governance, bypassare, supportare... Si legge nell'opuscolo: «Usare i cosiddetti forestierismi, in particolare gli anglicismi che ne costituiscono la gran parte, senza neppure conoscerne bene il significato, comporta poi, nel lungo periodo, una diminuzione della comprensione della nostra lingua [...]. Bisognerà invertire la rotta perché stiamo tutti contribuendo, anche involontariamente, ad una sciatteria linguistica impersonale e a un notevole peggioramento della comunicazione». Il rischio è che si parli un finto inglese ridotto in briciole e un italiano sempre più lessicalmente lacunoso e povero. Ma uno dei punti dolenti è il conformismo, è la velocità irresistibile della sua diffusione. Basta che qualcuno usi la nuova paroletta inglese perché il giorno dopo la useranno a migliaia. Nessuno che dica più, ormai, un semplice “sì” o un “va bene”: è tutto un diluvio di occhèi, occhèi, occhèi. Il pericolo in Italia non è l'individualismo, è il mimetismo di massa, è il voler essere sempre “come tutti”. Guai a chi sceglie.
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