martedì 11 marzo 2014
La Juventus ha virtualmente vinto lo scudetto (numero 30, 31 o 32?). Complimenti alla Signora. Soprattutto al suo tecnico: Antonio Conte sta donando al calcio italiano un'immagine nuova del “mister”, a volte eccessiva, scomoda, anche antipatica, ma presto i sentimenti lasciano spazio - al di là della faziosità - alla razionalità, al riconoscimento obiettivo di un metodo di lavoro che merita di fare scuola, a Coverciano o in tivù, non importa. Basta che non vadano smarriti i fondamentali della ormai mitica “Intensità”, da molti confusa con furiosi soprassalti di energia. Intensità è lavoro scrupoloso, disciplina impietosa, uso sapiente di mezzi tecnici ed economici ottenuti in forza della propria credibilità. Intensità è carisma non gratuito - dono naturale - ma tenuto costantemente carico per opere e anche per parole. È chiaro che il passaggio di Mourinho in Italia ha lasciato tracce; peccato che spesso le abbiano colte individui appena alfabeti, proprio come ai tempi di Helenio nacque una improvvida quanto abusiva Stirpe del Mago. Conte è vero, verissimo; è pronto per l'Europa. Ma il campionato non è finito, come pretendono i catastrofisti. Penso a me medesimo: tifoso (sì!) di una provinciale che rischia la retrocessione, sono convinto che fino a metà maggio dovrò soffrire, spero anche gioire, in ogni caso vivere forti emozioni; come i milioni di tifosi di altre quattro/cinque club che non hanno ancora visto La Grande Salvezza. Potrei dirvi che resta ancora aperto il capitolo del secondo posto uso Champions, dico di Roma e Napoli che, contrariamente alle ormai secolari usanze, sembrano quasi orgogliose di potersi piazzare alle spalle della Juve: in verità, calcisticamente trattasi di storie di perdenti. Come diceva il mio amico Enzo Ferrari, «Il secondo è solo il primo degli ultimi». Nel mondo delle Grandi (deludenti) resiste anche un Milan di Champions che nelle prossime ore conoscerà il proprio destino. Gli esperimenti di Seedorf sembrano quelli del dottor Frankenstein che costruì il Mostro infelice mettendo insieme pezzi di umani; con i pezzi di Milan che ha trovato non è ancora riuscito a fare una squadra che peraltro potrebbe miracolosamente nascere nella notte di Madrid. Sognare non costa nulla. Eppoi c'è l'Europa League. Per una serie di fattori - positivi e negativi - arriviamo agli Ottavi con tre squadre (Juve, Fiorentina e Napoli), due sopravvissute alla Champions perduta, una - la Viola - all'inseguimento di un trofeo che allarghi il cuore (e il portafoglio) di Diego Della Valle, uno che negli Stati Uniti è considerato come uno sceicco dalle nostre parti. Nel torneo sono rimaste, oltre alle italiane, poche squadre di valore (il Porto, il Tottenham, il Benfica) e solo ipotizzando grandi sorprese, almeno una non dovrebbe mancare il traguardo finale. È piuttosto importante che finalmente questo torneo che dà posti in Champions sia stato preso sul serio dai club italiani che l'hanno sempre snobbato, fin da quando si chiamava Coppa Uefa: un po' per rivincita, un po' perché la Juve ci mette lo stadio e la faccia, un po' perché Benitez vuol confermarsi Re di Coppe, avremo nuove occasioni di emozioni. E dunque la lotta continua anche senza la Juve che - a guardar bene - gioca in un altro campionato: quello della Storia.
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