Tempo fa una lettrice ha scritto al Direttore — pensando a Gesù Bambino — che di Dio lei ama più di tutto «la debolezza». Non a caso me ne ricordo adesso, sotto Natale. Dio è, anche secondo il linguaggio comune, l'Onnipotente: e questa resta certamente una sua prerogativa essenziale. Ma Dio — il nostro Dio cristiano — ha voluto insieme nascere uomo: bambino povero d'un popolo glorioso e decaduto, estraneo alla civiltà vincente nel mondo, quella romana, anzi sottomesso a Roma con le armi. Uomo dunque: fragile, debole come tutti gli appartenenti alla nostra specie; e con scarsi o nulli privilegi umani: dentro un contesto storico tale da portarLo alla morte in croce. Questa scelta di Dio a me pare — se mi si perdona il termine -— il Suo capolavoro. Il miracolo del Suo amore per noi: infinito come la distanza tra la perfezione divina e l'imperfezione umana, destinata al dolore. E il dolore Dio lo prende su di sé, nascendo uomo, nella sua intensità più terribile, fisica (col culmine della croce) e morale (i tradimenti, le delusioni — anche la Sua sconfitta pietà dei nostri mali, delle nostre perdizioni). Perché ciascuno di noi, il più sventurato, Lo possa sentire fratello nel dolore. Come adesso tutti noi dobbiamo, con gioia, sentire figlio il Figlio dell'uomo che sta per nascere.
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