Il 9 novembre di 32 anni fa, iniziava a cadere il muro di Berlino. Chi c'era ricorda la confusione del segretario del comitato centrale della Ddr, l'incalzare incredulo dei giornalisti, il buon senso dell'ufficiale di guardia che aprì i varchi. E poi la festa popolare, la gente che picconava la barriera, il concerto di Rostropovich. Di quelle ore convulse restano i libri, le mostre, la memoria di tanti testimoni, i pochi tratti di muro, in particolare di Bernauer Strasse, conservati allo stato originale per documentare l'orrore del prima, della divisione. Ma anche centinaia di pezzetti di cemento diventati souvenir in case e uffici. Li immagino soprattutto fermacarte, ora dipinti, ora lasciati com'erano, sulla scrivania dell'ufficio o in un angolo del salotto. Non so cosa dicano ai ragazzi di oggi nel segmento d'Europa che chiede nuovi muri ma certo, a lasciarli parlare, la storia è una sola: racconta di come per costruire una frontiera assurda basti una notte, mentre per tirarla giù ci vogliano quasi trent'anni. Spiegano che la barriera più resistente è quella del pregiudizio con cui soffochiamo il nostro cuore impedendogli di vedere oltre se stesso. Dettano il testo dell'unico messaggio che si sposi davvero bene con quel particolare fermacarte. Sono sei lettere in tutto: mai più.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: