Nel bel mezzo di Inter-Napoli – quando la noia stava toccando vertici senza precedenti nonostante fossero annunciate battaglia e vendette nel nome dei due tecnici dai destini incrociati – mi son sentito chiedere con una punta di malizioso stupore: «Come mai Mazzarri in quasi vent'anni di carriera non è mai stato esonerato?». Conoscendomi “mazzarriano”, l'interlocutore voleva provocarmi, e ho subito pensato di rispondere all'angoscioso interrogativo con una battuta: «Non ha mai lavorato con Zamparini». E così ho detto, cercando di rinviare il discorso a fine partita. Il quarto d'ora finale ha premiato l'attesa, con quei quattro gol belli e demenziali, con il Napoli baldanzoso di Callejon sopraffatto dai “Tafazzi” di Benitez e la sciagurata Inter salvata da Guarin e Hernanes, gli unici nerazzurri degni di plauso, il primo perchè appena entrato, il secondo per aver colto un palo. E quando il dirigente interista Ausilio – nomen omen – è apparso sui teleschermi per annunciare che Mazzarri, sopraffatto dallo stress, non avrebbe parlato, ho potuto dare finalmente una risposta compiuta: «Questo è Mazzarri, il lavoratore Mazzarri, il perfezionista, l'autolesionista che passa per “piangina” e invece è l'orgoglioso conducator che non sfugge agli inquisitori del dopopartita – chè anzi affronterebbe a viso aperto, da brusco maremmano qual è – ma evita il rischio di far cadere ombre di dissenso con i calciatori, con la società, con i dirigenti che hanno trovato, in stagioni difficili, un aziendalista non ottuso. Basterebbe guardare l'Inter – che non è sua creatura ma un insieme di giocatori e spiriti bizzarri da assemblare perchè diventino squadra – per capire quante scuse potrebbe inventarsi Mazzarri. Non c'è un condottiero, fra quei ragazzi che non sanno neppure passarsi la palla e si trattano come sconosciuti; non c'è un asso, nonostante si sprechino attributi entusiastici per l'Incompiuto Kovacic; non c'è un mastino, nella difesa che fa rimpiangere il Muro Samuel; e c'è un solo italiano – passaporti a parte – Ranocchia, senza grinta nè malizia, somigliante a un distaccato pedatore delle Far Oer. C'è invece, per fortuna dell'Inter e di Mazzarri, il piccolo saggio Thohir, uno che ha imparato presto a capire che il suo tecnico è insieme un dirigente affidabile, un tecnico esperto, uno stakanovista produttivo; Moratti si sarebbe già liberato di Mazzarri, come fece con Benitez, arruolando qualche Carneade e sognando l'impossibile Mourinho. Mazzarri, svanito per sfortuna il sogno di diventare un artista della pelota come Antognoni, s'è trasformato in un artigiano specializzato, oserei dire un fabbro con l'eterna aria corrucciata di un Vulcano, e se ne sta nella sua officina da mane a sera a batter metallo; non conosce la gaudente Bologna, la fiorita Pistoia, è straniero nella sua Livorno, non conosce il bel chilometro di Reggio Calabria, i profumi di Boccadasse e neppure – orrore – la riva di Chiaia, Posillipo, e se gli dite Marekiaro crede che gli parliate di Hamsik. Ecco perchè non l'hanno mai esonerato.
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