Nella via silenziosa di un primo maggio di lockdown, a passeggio col cane, sento dall'alto una voce infantile: «Ciao!» Alzo gli occhi, un palazzo elegante. Alle finestre nessuno. Mi rimetto in cammino, ma di nuovo quella voce di bambino: «Ciao!» Ora lo vedo, a un balcone del secondo piano, le manine alle sbarre della ringhiera. «Ciao!», rispondo allora fermandomi, e gli sorrido. Ma subito una voce femminile chiama: «Tommaso!», e il bambino rientra.
Avrà avuto quattro anni. In una bella casa, il figlio di una famiglia benestante. Il venerdì sera sempre portato a sciare, o, in primavera, al mare. E invece da due mesi l'orizzonte in tre locali, e il sole dal balcone. Milioni di bambini in magari dorate, ben curate prigioni. Finché si è in due si gioca, si litiga, ci si addormenta insieme. Ma quanti figli unici chiusi in camere piene di play station. Meglio forse allora il lockdown in certi caseggiati popolari, dove nei cortili i bambini degli immigrati si rincorrono. E quanto meglio le case dove di fratelli ce n'è tre, e si gioca, ci si azzuffa, ma non si è soli.
Sul web centinaia di richieste di adozione di gatti e cani, il sogno dei piccoli prigionieri della primavera 2020. Ma anche canili e gattili sono bloccati, e le giornate passano lente, in ben arredate camere con un letto solo. Cartoni, tanti cartoni in tv, ore alla play station. Però la primavera, fuori – e che voglia di un pallone. Un bambino allora una mattina si affaccia, guarda giù. Fa ciao con la mano a una signora che ha un cane (un cane, che razza di fortuna, pensa il bambino). La mamma lo chiama, la porta finestra si chiude. E vedi allora in quel Tommaso i bambini cui non manca niente, invisibili nelle case di Milano. O cui mancano, in questo maggio tiepido, le cose più necessarie: un fratello, dei compagni, un campetto da calcio per correre, e sudare, e gridare. Per fare, dei bambini, il vero mestiere.
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