Non dà consigli, tantomeno lezioncine su come dovrebbe essere un'appagante vita matrimoniale, il nuovo libro di Costanza Miriano. Niente di ciò che soffri andrà perduto (Sonzogno, pp. 144, euro 15): la scrittrice non dà regole, racconta, e dalla narrazione sgorgano storie più efficaci di un trattato di psicologia coniugale. Il libro va letto innanzitutto come opera letteraria, ed è facile lasciarsi catturare da una scrittura disinvolta e autoironica: Miriano non è Irene Brin, ma qualcosa di quell'impareggiabile stile serpeggia nel suo modo di veicolare idee serie con aria da svampita. Per esempio: «Da qualche parte un giorno, siccome Dio è buono ma anche giusto, quelle che non fanno sport, mangiano tanto e non ingrassano dovranno pagarla in qualche modo, che so, ascoltando conferenze di Michela Murgia sottotitolate in polacco». Premessa: «C'è una sola cosa peggiore del soffrire: soffrire mentre qualcuno ti dà consigli non richiesti su come dovresti sentirti». Miriano non oltrepassa mai quel confine e le sue storie di donne alle prese col dolore non pretendono di porsi come esemplari: sono realistiche e basta, convincenti perché vere. Il titolo del libro è chiaramente spiegato: «Le vite che ho osservato mi hanno convinta: niente di ciò che soffri andrà perduto. Ogni cosa fatta con amore, ogni critica inghiottita, ogni lavoro fatto bene e in silenzio, ogni preoccupazione custodita e consegnata a Dio, tutto verrà trasformato, anzi, ci trasformerà». E così veniamo a conoscere Caterina, cresciuta dalla madre perché il padre, violento e irresponsabile, se n'era andato, eppure «la mamma non ha mai detto una parola negativa su suo padre, tanto che quando era Caterina a criticarlo, lei la zittiva». Poi c'è stato l'incontro con Matteo, il matrimonio, tre figli, ma quando il marito ha cominciato a trascurarsi e a trascurarla, ecco il collega d'ufficio che la corteggia e da cui si sente compresa. Inizia una relazione sbagliata per la quale avrebbe dovuto pagare «un prezzo enorme di dolore ai figli e al marito, a cui comunque voleva bene». Con l'aiuto delle amiche e delle loro preghiere, Caterina rinuncia a quell'idolo, sapendo del resto che «il principe azzurro al primo lavaggio stinge». Caterina cambia lo sguardo sul marito, «e un uomo, quando si sente guardato così, non resiste, e orienta la sua vita al bene». Guai a cercare di «migliorare» il marito non praticante, come Anna ha cercato di fare: «Ho capito due cose: primo, finché la domanda non viene dal cuore dell'altro, è inutile cercare di convincerlo a venire ad ascoltare risposte a domande che non ha. Secondo, si parla di Dio alle persone con il nostro amore, senza nominarlo». C'è anche una commovente spiegazione, «da mamma», della sofferenza vicaria: «Se ho un figlio che si comporta male, dovrei correggerlo; ma se un suo fratello mi supplica perché io non lo punisca e lo fa fino alle lacrime, offrendosi di fare lui quello che suo fratello ha mancato di fare, mi intenerirei anche se fossi un genitore giusto e non mollaccione come sono». Dio ama infinitamente così. Con questi racconti, inquadrati in una prospettiva di fede, Miriano non intende spiegare il dolore, intatto mistero. Gesù non ha dato spiegazioni: si è fatto carico del male e del dolore.
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