mercoledì 28 ottobre 2020
Non dà consigli, tantomeno lezioncine su come dovrebbe essere un'appagante vita matrimoniale, il nuovo libro di Costanza Miriano. Niente di ciò che soffri andrà perduto (Sonzogno, pp. 144, euro 15): la scrittrice non dà regole, racconta, e dalla narrazione sgorgano storie più efficaci di un trattato di psicologia coniugale. Il libro va letto innanzitutto come opera letteraria, ed è facile lasciarsi catturare da una scrittura disinvolta e autoironica: Miriano non è Irene Brin, ma qualcosa di quell'impareggiabile stile serpeggia nel suo modo di veicolare idee serie con aria da svampita. Per esempio: «Da qualche parte un giorno, siccome Dio è buono ma anche giusto, quelle che non fanno sport, mangiano tanto e non ingrassano dovranno pagarla in qualche modo, che so, ascoltando conferenze di Michela Murgia sottotitolate in polacco». Premessa: «C'è una sola cosa peggiore del soffrire: soffrire mentre qualcuno ti dà consigli non richiesti su come dovresti sentirti». Miriano non oltrepassa mai quel confine e le sue storie di donne alle prese col dolore non pretendono di porsi come esemplari: sono realistiche e basta, convincenti perché vere. Il titolo del libro è chiaramente spiegato: «Le vite che ho osservato mi hanno convinta: niente di ciò che soffri andrà perduto. Ogni cosa fatta con amore, ogni critica inghiottita, ogni lavoro fatto bene e in silenzio, ogni preoccupazione custodita e consegnata a Dio, tutto verrà trasformato, anzi, ci trasformerà». E così veniamo a conoscere Caterina, cresciuta dalla madre perché il padre, violento e irresponsabile, se n'era andato, eppure «la mamma non ha mai detto una parola negativa su suo padre, tanto che quando era Caterina a criticarlo, lei la zittiva». Poi c'è stato l'incontro con Matteo, il matrimonio, tre figli, ma quando il marito ha cominciato a trascurarsi e a trascurarla, ecco il collega d'ufficio che la corteggia e da cui si sente compresa. Inizia una relazione sbagliata per la quale avrebbe dovuto pagare «un prezzo enorme di dolore ai figli e al marito, a cui comunque voleva bene». Con l'aiuto delle amiche e delle loro preghiere, Caterina rinuncia a quell'idolo, sapendo del resto che «il principe azzurro al primo lavaggio stinge». Caterina cambia lo sguardo sul marito, «e un uomo, quando si sente guardato così, non resiste, e orienta la sua vita al bene». Guai a cercare di «migliorare» il marito non praticante, come Anna ha cercato di fare: «Ho capito due cose: primo, finché la domanda non viene dal cuore dell'altro, è inutile cercare di convincerlo a venire ad ascoltare risposte a domande che non ha. Secondo, si parla di Dio alle persone con il nostro amore, senza nominarlo». C'è anche una commovente spiegazione, «da mamma», della sofferenza vicaria: «Se ho un figlio che si comporta male, dovrei correggerlo; ma se un suo fratello mi supplica perché io non lo punisca e lo fa fino alle lacrime, offrendosi di fare lui quello che suo fratello ha mancato di fare, mi intenerirei anche se fossi un genitore giusto e non mollaccione come sono». Dio ama infinitamente così. Con questi racconti, inquadrati in una prospettiva di fede, Miriano non intende spiegare il dolore, intatto mistero. Gesù non ha dato spiegazioni: si è fatto carico del male e del dolore.
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