lunedì 10 novembre 2003
Il dolore - ha detto Umberto Veronesi in una conversazione affidata al Corriere della sera (martedì 4) - allontana da Dio. Il malato terminale è tutto concentrato su se stesso. Il male lo induce a dimenticare il bisogno della divinità, lo distrae, lo impegna in ogni momento. È un cattivo consigliere. Va prevenuto, lenito con ogni mezzo disponibile, se possibile sconfitto. E la premessa di questa battaglia è ripristinare il primato della ragione». Questo giudizio si può condividere. Sappiamo tutti quanta disperazione possa essere causata dalla sofferenza, ma proprio «il primato della ragione» dovrebbe suggerire a chi lo invoca almeno un po" di prudenza (virtù anche "laica"), evitando il rifiuto pregiudiziale dell"idea che «la sofferenza sia una forza purificatrice, un fattore di redenzione». Nessuno ha mai insegnato che il dolore sia di per sé un bene. La Chiesa lo ritiene uno degli aspetti del male entrato nel mondo con il peccato dell"umanità e invita ad evitarlo. Anche Gesù chiese al Padre di togliergli il calice che lo attendeva e proprio il Getsemani insegna che l"equivalenza sofferenza-redenzione non è automatica e che la forza di salvezza del dolore dipende e deriva dal modo in cui lo si sopporta, lo si accetta, lo si interpreta, se ne cerca o gli si dà un significato o uno scopo. Senza tentare trattati sul dolore, che resta comunque un mistero (si veda Giovanni Paolo II in "Varcare la soglia della speranza"), è lecito domandarsi perché proprio da chi invoca il ripristino della ragione vengano certe affermazioni apodittiche che sono la negazione della stessa ragione. L"Illuminismo proponeva, nel secolo XVIII, una ragione fine a se stessa e oggi le requisitorie contro «la superstizione il miracolismo, i valori esclusivamente soprannaturali, il pregiudizio della intangibilità della natura», non sono che vecchi armamentari di "lumi" che oggi non sanno illuminare oltre il naso di chi li accende. Veronesi combatta il dolore, come sa far bene, ma non lo usi come materiale da laicismo.
SAN PETROLIO D"improvviso Libero si scopre (mercoledì 5) dottore in teologia morale: «La benzina scomunicata dai vescovi». È successo che una società petrolifera ha ottenuto il permesso di perforare «uno dei luoghi più belli» della Val d"Agri, provincia di Potenza, e che i Vescovi della regione hanno espresso molte riserve, perché l"impianto «intaccherebbe in maniera irreversibile e senza una vera necessità» la bellezza del luogo e vanificherebbe «i molti investimenti del passato per la valorizzazione del territorio interessato». Per Libero, però, vale solo il petrolio: «Bucare il terreno per utilizzare le riserve non è certamente da considerarsi peccato». Al contrario, «il peccato, semmai, è rifiutare il sostegno alle imprese che contribuiscono al bene comune», cosicché quello dei Vescovi sarebbe soltanto «un fondamentalismo ambientalista e no-global, pregiudizialmente opposto alla crescita economica». Tutto sta a vedere che cosa sia «fondamentalismo»: c"è anche, difatti, quello che del petrolio fa un bene assoluto, una specie di idolo. Sicuri che sia proprio il «bene comune»?
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