domenica 14 settembre 2003
La felicità è benefica al corpo, ma è il dolore quello che sviluppa le facoltà dello spirito. In questa giornata festiva che, nella liturgia, ha al centro la croce di Cristo innalzata come segno di dolore e di gloria e come emblema di amore e di speranza, ci siamo affidati a una frase di quel fluviale scrittore che fu Marcel Proust (1871-1922). Per la precisione si tratta di una citazione della sua opera apparsa postuma Il tempo ritrovato. Già nelle antiche tradizioni religiose si ricordava che la sofferenza è simile a un crogiuolo che purifica il metallo prezioso dalle scorie: aspra è la veemenza del fuoco, tuttavia è solo per quella via che si riesce a far brillare l'oro. Anzi, nella Bibbia si giunge al punto di considerare la prova come l'atto d'amore di un padre che vuole educare suo figlio liberandolo da vizi e imperfezioni: «Figlio mio, non disprezzare l'istruzione del Signore e non aver a noia la sua esortazione, perché il Signore corregge chi ama, come un padre corregge il figlio prediletto» (Proverbi 3, 11-12). E' vero che non tutto il mistero che alona il dolore può essere risolto con questa unica spiegazione. Tuttavia è facile intuire, anche dall'esperienza comune, che spesso la persona che ha vissuto una prova ha una maturità, una profondità e una finezza difficilmente riscontrabili in chi ha avuto una vita facile e quieta. Lo scrittore americano Saul Bellow nel suo romanzo Il re della pioggia (1959) non esitava ad affermare che «la sofferenza è forse l'unico mezzo valido per rompere il sonno dello spirito». E il grande tragico greco Eschilo nell'Agamennone ricordava che «la saggezza si conquista con la sofferenza». E', dunque, necessario percorrere la strada oscura del dolore con forza e speranza, quasi fosse una rigenerazione faticosa ma trasformatrice.
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