Dopo aver cercato di zoomare, nelle settimane e nei mesi passati, su alcune delle “facce digitali” del Sinodo 2018, tanto durante la fase preparatoria, quanto durante quella celebrativa, non potevo fare a meno di puntare l'obiettivo di questa rubrica sul suo Documento finale, al fine di vedere, a colpo d'occhio, quanto “digitale” contenesse. Quanto cioè, e come, la parola dei pastori della Chiesa sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale avesse infine tenuto in conto la condizione di “nativi digitali” che caratterizza oggi i minori di trent'anni. I robot redattori mi dicono che il testo contiene 24 volte “digitale” (e derivati), 5 “web”, 4 “social network/media”, 2 “media”, 1 “rete” e 1 “siti”, per un totale di 37 riferimenti, parecchi dei quali (ma non tutti) concentrati nei numeri dal 21 al 24 (siamo nella prima parte, dedicata al “riconoscere”) e dal 145 al 146 (qui siamo nella terza parte, consacrata allo “scegliere”). Sei propositiones, come si diceva una volta, votate dai padri sinodali pressoché all'unanimità. Nelle prime quattro l'«ambiente digitale» è presentato come uno dei tre «snodi cruciali» messi a fuoco durante il Sinodo. Nelle altre due la «missione nell'ambiente digitale» è posta tra le non poche «sfide urgenti» che la Chiesa ha davanti oggi. Tanto nell'una come nell'altra serie ricorre una preoccupazione: se quello digitale è «un approccio alla realtà che tende a privilegiare l'immagine rispetto all'ascolto e alla lettura» (n. 21), occorrerà interrogarsi sulle «modalità di trasmissione di una fede che si basa sull'ascolto della Parola di Dio e sulla lettura della Sacra Scrittura» (n. 145). Su questo mi sento di incoraggiare un certo ottimismo: le nostre chiese, anche le più lontane dagli itinerari turistici, testimoniano una tradizione millenaria di catechesi e di omelie dipinte e scolpite, piuttosto che pronunciate o scritte. Non dovrebbe essere arduo reinterpretare quella tradizione, che privilegiava l'immagine, nell'ambiente digitale.
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