I media generalisti, perlomeno sulle edizioni online che i miei robot censiscono, non si sono lasciati sfuggire la notizia di un “parroco” laico e sposato a Roma. L'hanno data, ovviamente, anche “Avvenire”, a p. 23 dell'edizione cartacea di venerdì, e le principali fonti specializzate nell'informazione religiosa digitale: il “Sir” ( tinyurl.com/ycttlec6 ), “Vatican Insider”, “Acistampa”. O meglio: non l'ha data nessuno, in quanto Andrea Sartori, diacono permanente di 49 anni, sembra un parroco ma non lo è. Lo sembra perché da settembre vive con la moglie e i 4 figli nella parrocchia di San Stanislao, della quale gli è stata affidata la «cura pastorale» (per la diocesi di Roma è la prima volta di un diacono con questo ruolo) e dove oggi riceve la visita del cardinale vicario Angelo De Donatis. Non lo è perché il canone 521, § 1 del Codice di diritto canonico dice che per essere parroci bisogna essere sacerdoti (e infatti a San Stanislao c'è un «amministratore parrocchiale»: il viceparroco di una parrocchia vicina, che ci va anche a celebrare l'Eucaristia e la Riconciliazione). I dettagli, comuni a tutte le fonti, dipingono una storia ecclesiale degna di ogni attenzione, per le prospettive sulle quali è incamminata: quelle di una parrocchia con la «speciale vocazione di diventare una diaconia», e così «recuperare una prassi antica della Chiesa», secondo le parole del vescovo ausiliare monsignor Palmieri. Andrea Sartori ha infatti al suo fianco altri diaconi, uno dei quali originario della parrocchia, alle spalle molti anni di volontariato in Africa, anche se di mestiere fa l'informatico, e davanti agli occhi le diverse povertà presenti in parrocchia. Eppure, anche se nessuno (o quasi) l'ha scritto, la notizia lascia l'impressione che a Roma ci sia un parroco «laico e sposato». Forse perché tanti sono convinti – o preoccupati, dipende da come si guarda all'età secolare – che il futuro sia in questa direzione.
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