sabato 17 ottobre 2020
A Madre Teresa di Calcutta, alla fine degli Settanta del secolo scorso, l'allora Prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli offrì un vitalizio di ventimila dollari l'anno (cifra modesta anche anche a quell'epoca) per assicurare una certa continuità al noviziato delle sue Missionarie della Carità. Madre Teresa rifiutò dicendo che lei e le sue suore non volevano «nessun tipo di sicurezza» e che se il Signore avesse voluto dare continuità alla sua opera non le avrebbe fatto mancare nulla. Non disprezzava il denaro, Madre Teresa, ma con esso aveva un rapporto totalmente distaccato, serviva per le opere di bene, e per vivere con modestia, e per niente altro. Perché dire che i soldi non servono è dire una bugia, e anche di quelle grosse, ma c'è modo e modo di considerare il denaro. Finché rimane un mezzo è una cosa, ma quando diventa un fine, allora le cose cambiano, e molto.
Papa Francesco, su questo argomento, non c'è mai andato leggero. In diverse occasioni, riprendendo una metafora cara alla tradizione cristiana, ha definito il denaro «lo sterco del diavolo». E l'ha voluto ribadire una volta di più l'altro giorno, ricevendo in udienza il gruppo Moneyval (il Comitato del Consiglio d'Europa che deve valutare le misure contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo adottate dal Vaticano), sottolineando come «Gesù ha scacciato dal tempio i mercanti e ha insegnato che non si può servire Dio e la ricchezza. Quando, infatti, l'economia perde il suo volto umano, non ci si serve del denaro, ma si serve il denaro». Una forma «di idolatria» di fronte a cui bisogna «reagire» riproponendo l'«ordine razionale delle cose che riconduce al bene comune, secondo il quale il denaro deve servire e non governare». E perché, ha quindi aggiunto sulla scia di quanto proposto già da Paolo VI, non costituire un Fondo Mondiale per venire in aiuto a poveri e affamati «con il denaro impiegato nelle armi e in altre spese militari»? Utopia? Tutt'altro. Solo la lucida consapevolezza che un'altra via è possibile, basta solo volerla imboccare. «Talora pur di accumulare ricchezza – ha detto Francesco – non si bada alla sua provenienza, alle attività più o meno lecite che l'abbiano originata e alle logiche di sfruttamento che possono soggiacervi. Così, accade che in alcuni ambiti si tocchino soldi e ci si sporchi le mani di sangue, del sangue dei fratelli. O, ancora, può succedere che risorse finanziarie vengano destinate a seminare il terrore, per affermare l'egemonia del più forte, del più prepotente, di chi senza scrupoli sacrifica la vita del fratello per affermare il proprio potere».
È l'idea di quella "economia di comunione" che, da Leone XIII in poi, è sempre stata alla base della dottrina sociale della Chiesa, che così come ha condannato il comunismo ha sempre sostenuto «l'erroneità del "dogma" neoliberista». «L'adorazione dell'antico vitello d'oro – ha affermato il Papa
– ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano», al punto che «la speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage». Quello di cui c'è bisogno è una nuova finanza, che «non opprima i più deboli e Enciclica. Che cioè siamo fratelli, tutti i bisognosi», ma si impegni a «ripensare al nostro rapporto col denaro», perché «in certi casi pare che si sia accettato il predominio del denaro sull'uomo». Una finanza, in altre parole, fondata sul principio che Francesco ha fissato nella sua ultima Enciclica. Che cioè siamo fratelli, tutti. Che significa che nessuno può essere escluso, nessuno.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI