«Ora è tempo che questo cuore sia immobile/ perché ha cessato di muovere altri cuori». Sarebbe interessante, per il lettore, conoscere la situazione in cui nascono questi due versi di Gorge Gordon Byron. Dirò qualcosa, ma limitandomi a due accenni, poiché la potenza dei versi, e quindi del pensiero e della gittata d'amore, va oltre ogni circostanza. Byron, ancora giovane, 36 anni, ha perso da due l'amico Shelley, naufragato nei pressi di Lerici. Ha riconosciuto il cadavere, riemerso dalle onde. Il colpo è durissimo. Inoltre l'amore per l'unica donna a cui si è legato vacilla, i fasti della vita veneziana, piena di feste e avventure reiterate e leggere, alle spalle. Decide di partire per la Grecia, per combattere a fianco dei patrioti contro gli oppressori turchi. Morirà. Febbri malariche. Non è questo il punto, ora: un uomo, in qualunque situazioni si trovi, scrive che il suo cuore deve restare immobile, fermarsi per non si sa quanto tempo, forse per sempre, perché non sa far muovere altri cuori. Il mio cuore, scrive il grande poeta Byron, non è nato per il suo puro battito e la mia vita esclusiva, ma per muovere, vale a dire agitare, gonfiare di vento, riempire di vita, altri cuori. Nel momento in cui è incapace di farlo, il mio cuore è inutile, è tempo che si fermi. Il cuore pulsa per gli altri.
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