martedì 20 luglio 2021
Finisce qui, con Rio de Janeiro 2016, il nostro racconto in pillole: 28 edizioni dei Giochi attraversate di corsa con Tokyo come traguardo. Tre giorni ancora e sarà di nuovo Olimpiade, un tuffo nell'ignoto, un'edizione piena di senza. Così diversa dall'ultima, gonfia di passione e di colori. Sono passati cinque anni, sembrano cinque secoli ricordando l'immensità contraddittoria di Rio, la sua vita dolce e crudele, 17 giorni di medaglie, favelas e champagne. Poco aveva funzionato, molto ha pulsato. Troppo lento, indolente e distratto il Brasile per tenere il tempo frenetico e preciso dell'olimpismo. Troppo disastrate le sue casse per spendere altre energie. Poteva giocarsi una carta sola, quella del cuore. E Giochi di cuore sono stati. Per la sua gente, che li ha solo sfiorati. Ma che li ha sopportati con il sorriso. Per le storie che hanno saputo raccontare. Per i gesti splendidi che sono riusciti a regalare. Pensavamo che Rio fosse solo colore e invece è soprattutto dolore. Un contrasto da brividi, come una punta d'acciaio trascinata sul vetro. Stadi grandi e nuovi nel nulla cosmico, a due passi da milioni di disperati, in una città dove quasi metà della popolazione ha meno di vent'anni e non conosce l'alfabeto. L'Olimpiade a Rio ha fatto quello che ha potuto. Ha anche finto di non vedere. Ma ha evitato gli eccessi, per pudore. Non si è concessa gesti atletici straordinari, ha fatto rumore ma senza disturbare. Ha fatto il suo, nulla di più. Ha vinto, ha perso, è stata solo una parentesi. Ma per qualche giorno almeno ha fatto ritrovare a un Paese disperato e meraviglioso un posto nel mondo.
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