martedì 23 giugno 2020
Mi domando perché la finanza sia così raramente considerata per quello che è: una religione rovesciata. Indubbiamente, nell'Antico testamento, se ne accenna vigorosamente nell'episodio del vitello d'oro (lo stesso simbolo che ora rappresenta Wall Street) e, nei Vangeli, in certe affermazioni di Gesù che lasciano poco spazio all'esegetica. Ma fuori da un contesto genuinamente cristiano, nei valori cardini del transito terrestre di san Francesco e nella trattatistica ad esso legata e successiva (il De Paupertate del dottore della Chiesa e a sua volta francescano san Bonaventura); e insomma nel pensiero laico, ciò svela e allo stesso tempo paradossalmente occulta la sua potenza e la sua essenza di religione “rovesciata” via via sempre più spietata e invisibile. E più invisibile e smaterializzata più efficace. Sappiamo tutti che la finanza è ormai autonoma rispetto ai mercati, e che la sua caratteristica precipua è quella di piovere da un cielo artificiale di dati. «Cattiva magia», la definiva un anomalo, profondamente mistico e oggi dimenticato filosofo di fine del secolo scorso, Luciano Parinetto, raffinato traduttore da Holderlin e da Emily Dickinson. René Guenon diceva che questo nostro tempo è «il regno della quantità». Nel divino la quantità è irrilevante. Non si dà “molto Dio” o “poco Dio”. La finanza è quantità pura. La religione dell'Anticristo.
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