Nel prossimo anno scolastico le scuole italiane saranno frequentate da 70mila bambini in meno rispetto all'anno precedente. E negli ultimi tre anni sono spariti dalle nostre aule quasi 190mila alunni, con un calo del 2,4%. È l'effetto diretto del crollo demografico, il gigantesco macigno che ostruisce oggi la strada dello sviluppo del nostro Paese. In questo senso è illuminante la distinzione tra Pil e Pil pro capite. Analizzando le due curve si scopre che, a sorpresa, nel triennio 2015-2018 l'economia italiana ha avuto una buona performance rispetto al Pil pro-capite, annullando il precedente gap di crescita con Germania e Francia grazie a tassi di sviluppo analoghi (+1.3% l'anno in media). Peccato che, invece, il risultato finale sul Pil complessivo sia stato molto diverso tra i tre Paesi a causa del diverso andamento della loro "base". L'Italia è infatti l'unico Paese europeo che sta perdendo popolazione: negli anni 2015-2018 la popolazione italiana è diminuita di 300mila unità. Al contrario, nello stesso periodo i cittadini tedeschi sono aumentati di ben 2 milioni di unità e quelli francesi di 760mila unità.
Il deficit demografico italiano, inoltre, sta facendo saltare l'equilibrio generazionale: il rapporto tra numero di persone con più di 65 anni e quelle con meno di 15, che era pari a 62 anziani ogni 100 giovani nel 1981, è arrivato addirittura a 168,7 nel 2018. Si stanno avverando le peggiori previsioni demografiche: l'Italia è diventata ormai una "piramide rovesciata", in cui a generazioni sempre meno numerose di giovani si chiede di sostenere generazioni sempre più numerose di anziani. Perché a furia di pensare che «nel lungo termine saremo tutti morti», come chiosava Keynes, siamo riusciti (ahinoi) a toccare con mano le conseguenze d'un fenomeno dagli effetti così dilazionati nel tempo come il deficit demografico.
Eppure, si tratta ancor oggi di una "questione fantasma" nel dibattito pubblico italiano. Sarebbe stata del tutto assente dalla campagna elettorale del marzo 2018, se non fosse stato per il gran lavoro di questo giornale per "stanare" i partiti in lizza. Ed è tuttora misconosciuta dai principali economisti e commentatori, con poche lodevoli eccezioni lontano da queste colonne, come quella di Marco Fortis.
La piena e straziante inconsapevolezza di politica, media e opinione pubblica impedisce tuttora di affrontare il problema con politiche adeguate. I rimedi sono noti: politiche fiscali e sociali per favorire la conciliazione maternità-lavoro ed il supporto economico alle coppie, politiche industriali per far crescere la produttività, politiche del lavoro per aumentare il tasso di occupazione dei giovani e delle donne. Strategie complesse, costose e di lunga gittata, non c'è dubbio. Ma quando inizieremo ad attuarle?
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