La fiducia nel futuro da parte degli agricoltori pare essere ai minimi storici. Lo dice la Coldiretti sulla base delle ultime rilevazioni Istat. Ma per capirlo basta semplicemente guardare alle cronache di queste ultime settimane, dense di manifestazioni di piazza e di proteste anche clamorose. Questione di prezzi bassi, certamente, oltre che di concorrenza sleale. Ma probabilmente c'è anche dell'altro. Pesano anche sugli agricoltori, come per il resto dell'economia, l'incertezza dei mercati internazionali, le speculazioni e le conseguenze sul comparto dei mutamenti politici in corso. Brexit, per esempio, ha scosso anche il settore agricolo mettendo a rischio circa 3,2 miliardi di euro in esportazioni agroalimentari italiane. Un rischio aggravato dal fatto che ad essere colpiti sono gli stessi settori fondamentali già colpiti duramente dall'embargo ad Est, con l'aggiunta del vino (che da solo vale 746 milioni di vendite sui mercati oltre Manica). La concorrenza sleale sui mercati mondiali, poi, non solo vale altri miliardi di euro, ma mina alla base la fiducia dei consumatori e, di conseguenza, i programmi di sviluppo dei produttori. In altre parole, il cosiddetto italian sounding non si traduce solamente in una perdita economica immediata, ma in un danno di immagine, e quindi ancora una volta economico, a lungo termine. Hanno ragione gli agricoltori a chiedere a gran voce più trasparenza e informazione nei confronti dei consumatori. Ma questi strumenti non bastano a risolvere il problema. L'incertezza generalizzata sui mercati, d'altra parte, colpisce anche quelli agricoli e soprattutto quelli delle commodities cioè delle grandi produzioni di massa come quelle cerealicole. La difficoltà cronica di dialogo fra produzione agricola, trasformazione industriale e soprattutto distribuzione, completa il quadro delle difficoltà di contesto.A tutto ciò, e anche come conseguenza di quanto appena accennato, si aggiunge il crollo dei prezzi nazionali di vendita dei principali prodotti agroalimentari. Secondo i coltivatori, rispetto allo scorso anno sono diminuite addirittura del 42% le quotazioni del grano duro, del 24% quelle del latte ma anche del 30% quella relative all'olio di oliva e del 15% per le uova. Secondo Ismea (che tiene sotto controlli tutti i mercati agricoli), ancora a giugno le diminuzioni sono state sensibili dopo il timido segnale di ripresa evidenziato a maggio. La flessione registrata è stata del 2,1% su base mensile e del 3,7% su giugno di un anno fa. E se si guarda al solo insieme dei prodotti più significativi, la deflazione in un anno è arrivata al 6% in termini generali. Gli agricoltori hanno più di una ragione per essere preoccupati.
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