giovedì 28 giugno 2018

La logica del dubbio, lo svuotamento della parola sono realtà ormai acquisite dal nostro popolo, sono diventate cultura. Più che riconoscere, s'interpreta la realtà. Nel giornalismo è lecito raccontare, non tanto i fatti nudi e crudi, ma l'interpretazione degli stessi senza troppo preoccuparsi della fondatezza delle asserzioni. Su temi fondamentali quali: dignità umana, vita, morte, differenza di genere, salute, natura, Redenzione e peccato siamo sconclusionati e discordi e sembriamo essere ripiombati in quella Babele ove il pluralismo culturale è mera confusione. Il clima politico da molto tempo ormai, non è sereno: anziché discutere pacatamente le sfide in ballo, complesse e non liquidabili con un paio di insulti, si lanciano strali a destra e a manca, calunniando gli agenti coinvolti. Restare in Europa, mantenendo cultura e autonomia proprie, rispetto a scelte non sempre condivisibili, è arduo e ci trova impreparati.


Il recente dibattito sulla cannabis è un esempio. La lavorazione di una certa qualità di canapa, dalla quale si estrae la cannabis in una forma leggera, utile anche per la farmaceutica, è stata legalizzata in Europa. Immediatamente la macchina della propaganda ha innescato un processo a catena che ha visto sorgere punti vendita legali di cannabis (col solo vincolo della maggiore età dell'acquirente); produzione di quel tipo di canapa nei vivai e nei giardini di casa e apertura di negozi con prodotti a base di canapa. Il 10 aprile scorso il Consiglio superiore di sanità ha giudicato inopportuna la liberalizzazione della cosiddetta cannabis light, non escludendone la pericolosità. Argomento di cui si parla pochissimo (sui media) ma che preoccupa le famiglie italiane, coinvolte nella questione a causa del lavoro o dei figli minorenni che rincasano alterati dalla droga. Sui nostri schermi, invece, si parla quasi solo di immigrazione, mafia o parità di genere. Per saperne di più sull'argomento, e per rispondere ai genitori angosciati e ai vivaisti perplessi che bussano al nostro convento, mi sono imbattuta in una singolare iconografia. Tra '600 e '800 il farmacista era un benefattore della società, amico di Cristo, guaritore come lui e, al par di lui, depositario dei misteri celati nella creazione. Nacque così la curiosa iconografia del Cristo apotecario, alcune erano vere e proprie insegne esposte alle pareti di farmacie che ponevano sotto la protezione del Cristo la loro attività, oppure miniature come questa. In una Spezieria attrezzatissima, con scaffali pieni di barattoli e scatole etichettate, entrano due clienti d'eccezione. Sono Adamo ed Eva i quali, visti gli esiti del loro errore sull'umanità (e lo sappiamo ancor meglio noi uomini del XXI secolo), decidono di ricorrere allo Speziale più illustre della storia onde essere guariti. Cristo si accinge a stilare la ricetta che prevede, come si deduce da altre opere, la morte del tentatore, l'accoglienza della Croce e la somministrazione frequente della Santissima Eucaristia.
Voglio sognare, e certo qualcuno mi chiamerà bigotta e retrograda, ma se i politici visitassero quella Spezieria, sarebbero meno in panne e più attrezzati a trovar decisioni eque e sane per il loro popolo. E se i parroci, invece di infilarsi in arringhe sociologiche, parlassero un po' di più di mistagogia e della vita dell'anima, forse avrebbero fedeli più educati al discernimento, capaci, senza bisogno del Consiglio Superiore delle Sanità di comprender ciò che è bene e ciò che è male per il futuro dei loro figli.

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