domenica 12 marzo 2017
«Della necessità forza maggior non c'è», dice Menelao nell' Elena di Euripide. Non ascolta le nostre preghiere. Non ha altari per renderle grazie. «Di necessità virtù» afferma un proverbio; «La necessità non conosce legge» recita un altro. Queste affermazioni contrarie esprimono la stessa cosa: l'inevitabile, l'irreparabile, l'indiscutibile… Ecco perché, imprendibile nella sua durezza più di un bunker, la necessità può diventare una facile scappatoia, giacché se non ci si può fare niente ci si sente liberi da ogni responsabilità, si ignora l'angoscia ma anche il coraggio di dover prendere una decisione. Dice Kierkegaard: la «categoria più pesante» non è il necessario ma il «possibile». Lo slogan della campagna presidenziale del 2007 di Nicolas Sarkozy, «Insieme tutto diventa possibile», vorrebbe spalancare orizzonti e invece impone un fardello schiacciante. Questa frase non solo implica la possibilità del meglio come del peggio, ma fa soprattutto l'elogio di un'indeterminazione totale che disorienta e finisce solamente per deludere (e in questo senso fu abbastanza profetica di ciò che sarebbe stato il quinquennio del futuro presidente). L'innovazione tecnologica si nasconde molto spesso sotto questo gonfalone: allarga il campo del possibile. E rende così impossibile ogni contestazione. Quale rimprovero si potrebbe farle, visto che restiamo liberi di accettare o di rifiutare le novità che ci propone? È questo infatti il significato stesso della parola “virtuale”. Il virtuale si oppone all'attuale, è una possibilità che resta a portata di mano e che rimane tale finché non la si afferra. Del resto, non si tratta più di afferrare né di prendere con le mani, ma di accarezzare un vetro, sfiorare uno schermo tattile. Questa affascinante virtù del virtuale - proporci il mondo intero in una bottiglia - corrisponde a dire il vero a un vizio molto antico: l'avarizia. L'avaro sta seduto sul suo mucchio d'oro, o piuttosto, disteso sul suo estratto conto, senza mai diminuirne il saldo comprando un bene materiale. Acquistare qualcosa, con i suoi contorni, la sua fisicità, con il suo peso, equivarrebbe a diminuire il suo potere di acquisto che è innanzitutto un potere fantasmatico: procurarsi l'ultima Maserati sarebbe rinunciare a una vecchia Jaguar o a un camper Mercedes. Occorre all'avaro mantenere questo potere assolutamente intatto per proiettare all'infinito tutte le traiettorie immaginabili e non realizzarne mai nessuna. Così, l'innovazione costante non permette nessun progresso reale della persona: questa viene spinta sempre più rapidamente in un movimento rotatorio sempre più ampio, dove le uscite si moltiplicano senza sosta ma dove non si deve mai prenderne nessuna perché questo sarebbe rinunciare alle altre. Per fare un passo avanti in questa riflessione, conviene operare una distinzione tra due generi di possibili: il possibile come potenzialità, o potere, e il possibile come “possibilitazione” (o aggiunta). Ci sono dei possibili che sono relativi a un potenziale, ovvero a un potere iscritto in una natura che si tratta di fare passare all'atto: la rosa è una potenzialità del ramo del rosaio; l'agricoltura, l'ebanisteria o la poesia, sono potenzialità delle nostre mani di uomini. La possibilitazione, al contrario, consiste nell'aggiunta di una possibilità nuova, certo, ma posticcia, impiantata, senza legame diretto con una potenza naturale. Là dove la potenzialità fa fiorire, la possibilitazione, sovraccarica o sovrappone. Il fiore è sostituito dalla fioritura. Il rosaio è munito di un transistor e permette oramai di ascoltare i talk show con i parlamentari e le star televisive. Sotto questo aspetto, si può dire che la forza dell'innovazione tecnologica è quella di una possibilità senza potenzialità o di un potere senza potere. I possibili che ci offre ci impediscono di realizzare le nostre tendenze più essenziali, e la frustrazione che ne deriva ci rende ancora più dipendenti da essa, suscitando in noi il desiderio di altri gadget: la protesi bionica serve a nascondere la miseria alla nostra mano privata di ogni arte. L'innovazione tecnologica non apre il campo dei possibili perché non si tratta più di un campo da coltivare; continua ad annettersi nuovi deserti, lasciando il campo incolto.
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