Don Nicolino Barra nasce a Roma, quartiere Prati delle Vittorie, l’1 gennaio del 1935. Zona agiata con tutti i servizi: scuole, mercati, verde in abbondanza, ma con un particolare meschino dell’Italia monarchica e filofascista, tutta costruita in modo che da nessuna via si potesse vedere la Cupola di San Pietro. Lui vive l’esperienza dell’Azione cattolica, dopo la maturità entra al Collegio Capranica, si laurea in filosofia e teologia e nel 1959 è prete: accogliente, ma anche esigente e impegnativo. È viceparroco a Ponte Milvio, a Monteverde e a Monte Sacro: comprensivo con tutti, ma fermo nelle sue convinzioni e capace di energia nel proporle. Il mondo cambia, e dopo il Concilio ecco il ’68, due spinte dirompenti. Nicolino, 33 anni, vuole andare a vivere tra le 4mila baracche del Prenestino, insediamenti di fortuna per immigrati senza dimora: niente luce, niente acqua, niente scuola, niente servizi di trasporto, fogne a cielo aperto. Altri preti fanno la stessa scelta,
ciascuno con il suo tono e la sua visione di mondo e di Chiesa. Quella di don Nicola è fedele e coraggiosa. Coraggiosa in quegli anni anche la visione ecclesiale e sociale del cardinale vicario Angelo dell’Acqua. Questi acconsente alla richiesta di don Nicola condivisa da 3 confratelli, Isidoro del Lungo, Franco Ripani, e Mauro Innocenti. Saranno “preti operai”, ciascuno con il suo mestiere: don Mauro fa il calzolaio, don Nicola il fabbro, don Isidoro il facchino e don Franco il falegname. Una scelta di vita, che non esaurisce la fantasia creativa di don Nicolino. Nel 1969 fonda con altri una lettera mensile, “La Tenda”,
spazio aperto per tutta la comunità fino al 1986. Lui per tutta la vita ha continuato a fare il fabbro.
Qui due ricordi. Una volta lo andai a trovare nella sua baracca di fabbro, e mi spiegò come riusciva a mettere lo zoccolo di ferro ai cavalli ancora in servizio nelle “Carrozzelle”. Altro: una sera fui invitato a partecipare alla cena. In tavola 2 uova sode, una melanzana e mezzo filone di pane! Negli anni successivi Nicola è stato anche consigliere spirituale delle Equipes Notre Dame con
qualche rigidità su temi del rapporto tra sessualità e vita cristiana, per esempio sul legame tra celibato e ministero presbiterale, per lui strettamente collegati non solo dalla storia… Oltre questo sempre l’amore per i classici, lo studio esegetico della Bibbia: sempre, fino alla fine, ma nella fedeltà al suo popolo delle baracche fino a quando il Comune di Roma lo trasferì nelle nuove case popolari di Ostia: nel 1979 i 70mila baraccati furono trasferiti in case costruite in economia, strade non asfaltate e servizi mancanti: tra droga, usura, criminalità organizzata, povertà, disoccupazione ed evasione scolastica. Anche lui, fabbro di periferia, ricevette un alloggio nei pressi della parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli, ove fu viceparroco, e nel 1984 parroco con il suo ideale di parrocchia: luogo di cammino di fede adulta alla luce della parola di Dio: identità e cambiamento. Una missionarietà che scende per strada incontro a chi non vive più la fede, o ne vive solo qualche usanza di religiosità popolare. Si può dire con coscienza avvertita quanto «Chiesa in uscita», «ospedale da campo», «porta aperta a tutti, tutti, tutti!» sarebbero state gradite. Don Nicola è parroco fino al 1994, ma quando è sostituito vuole restare come viceparroco, sempre tra “i suoi deportati dalle baracche”. Gli ultimi anni resi dolorosi da un tumore (morirà il 22 gennaio 2000) lo vedono accompagnato da gran numero di amici, senza pretese, salvo essere segno di una presenza di “pastore” fedele e libero insieme: “don Nicolino”, vero confratello d’Italia.
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