«Gesù» riesce a dire Disma. Lo guarda, con la faccia sconnessa, pianto e saliva, ritorta sulla spalla. «Fammi venire con te nel tuo regno…». I soldati accucciati non badano alle parole insensate che si scambiano i moribondi. Il Nazareno ha la memoria strappata delle parole del salmo che venendo da chi sa dove, dal corpo slogato, gli battono alle tempie: «Ma il tuo servo vedrà la tua… gloria… Dio mio». Il dolore è sbarra di ferro ghiacciato che tocca tutti i nervi. Cercando nell'aria il respiro, le labbra secche: «Sarai con me, oggi. Nel mio giardino». Poi il cielo si avvicina paurosamente alla faccia. Preme sulla bocca. Manca il fiato. Manca. I polmoni scoppiano. Il cuore impazzisce. Da dove vengono quelle parole, fiori, stelle nella mente che esplode. «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?». Le grida. Tutto il fiato. Nel Tempio il gran sacerdote Caiphas, vestito nello splendido manto blu, uccide il primo agnello di Pasqua. Il sangue rosso vivo cola sulla grande pietra. Dietro a lui la folla è in estasi. Mani che battono, danze di invasati. Visi duri piangono, mormorano. Il Sommo Sacerdote tiene le palpebre dipinte socchiuse. Dio protegga il suo popolo. Giovanni, il ragazzo, non riesce a staccare gli occhi dal Nazareno appeso, immobile con la bocca semiaperta.
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