La notizia l'ho vista su Terrasanta.net, la testata online edita dalla Custodia di Terra Santa in Italia. Eleonora Prandi vi racconta ( http://tinyurl.com/hpncof9 ) che «in Iran è sempre più frequente vedere donne con il vistoso cerotto al naso di chi ha appena subito un intervento di chirurgia plastica: si contano 90-100mila interventi l'anno». Mi viene in mente che un collega, serio e affidabile, di ritorno da un recente viaggio a Teheran, mi ha riferito di un comportamento così diffuso da essere osservabile “a occhio nudo”, tra le donne ma anche tra gli uomini. Incuriosito, lancio due parole-chiave su Google e trovo non solo che le fonti concordano nel riferire di un fenomeno di proporzioni tali da “fare notizia”, ma che esso è osservato e studiato già da tempo, anche in Italia: ad esempio, spunta su un numero del 2011 di Genesis, rivista della Società italiana delle storiche, il saggio “Naso e libertà. L'ossessione per la rinoplastica nell'Iran contemporaneo”, dell'iranista e islamologa Anna Vanzan.Tuttavia, letta su Terrasanta.net – cioè su una fonte che ama mostrare, per quanto possibile, il Medio Oriente attraverso gli incontri di civiltà piuttosto che gli scontri – questa storia assume ai miei occhi una coloritura particolarmente significativa. Mi rimanda infatti a una problematica, quella riassunta dal termine tecnoscienze, che, anche dal punto di vista religioso, sono abituato a considerare all'interno della cultura occidentale, e che invece si presenta con connotati simili anche in una cultura che considero “altra”. Ovvero, nel teocratico Iran la spinta a fare al proprio corpo una cosa perché è possibile farla non è meno forte che nella laica Europa. Anzi: trae dagli obblighi socio-religiosi (il velo consente alle donne di mostrare solo il volto e le mani) un incentivo, estetico e forse anche politico, piuttosto che un freno.
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