La frase (celebre) è questa: «Non ho la stessa grinta che avevo prima. Mi divertivo ancora di più alcuni anni fa, rimanevo dopo l’allenamento per giocare, scherzare...». L’ho letta e ne ho ammirato l’autore - Zlatan Ibrahimovic - perché come al solito lo Zingaro non dice banalità ma quel che gli scappa di dire, soprattutto quand’è a casa, in Svezia, dove non lo vedono spesso e hanno più occasioni per chiedergli «come stai?». Da noi, come insegnava un noto perdente, quando uno guadagna euromilioni ed è un divo, se gli chiedi come stai deve per forza rispondere «benissimo! trallalalà» e far anche due passi di danza, pena l’irrompere di cascate demagogiche - o l’eruzione di lava retorica, a piacere - e l’immediato elogio dell’umiltà seguito da lezioni di pauperismo sociale. Val la pena segnalare che Ibra, continuando la conversazione, ha anche detto delle battutacce ridendoci sopra e che pensa - anzi è convinto - di divertirsi ancora. E allora? Tutta roba, questa, da prima pagina? Da articolesse stupite se non scandalizzate? In questi casi, amo i commentatori colti: buttano giù tre cartelle scritte bene, non risolvono niente ma prolungano il dibattito. Li pagano per questo. Ma vi raccomando gli strilloni, quelli che ci trovano dentro anche l’eterna solfa dello Zingaro che non vince, che s’annoia, che le spara grosse per metter le mani avanti o addirittura minacciando l’ennesimo trasferimento, la solita caterva di gol (non in Champions, però!) l’ennesimo bacio della maglia, essendo un professionista che se lo chiamassero a Napoli renderebbe omaggio anche a San Gennaro. Sarà che a me Ibra piace, sicuramente come calciatore e anche come uomo, visto ch’è uno diviso fra casa e Milanello, fra la deliziosa moglie e l’arguto Allegri, e non mi sembra di averlo mai beccato all’Hollywood o in altri luoghi del training velinista; sarà che qui ci vuol poco a guadagnare la prima pagina (e la prima serata), basta dire una cosa che sembri (almeno) intelligente inframmezzata a valanghe di stupidità e sei già un “diverso”. Ma non un “depresso”, perbacco, come ha temuto qualcuno cui farei dono dell’ottimo libro di Carlo M. Cipolla “Le leggi fondamentali della stupidità” insieme al trattato di Luciano Cremascoli “Fenomenologia del cretino” perché si possano cogliere l’infinita distanza fra il malessere quotidiano e una gravissima patologia: già il caro Buffon è rimasto vittima di tanto equivoco. Io penso che per Ibra possa valere - senza scomodare psicologi e compagni - la filosofia di Enzo Ferrari («Quel che conta è vincere: il secondo è solo il primo degli ultimi») e di Giampiero Boniperti («Vincere non è importante: è l’unica cosa che conta»). E dopo Juve-Milan uno può anche ammettere di avere avuto un calo di soddisfazione, addirittura - risvegliandosi - una botta di nausea. Nausea? Letture di gioventù: il (cattivo) maestro Sartre scriveva «non è in me, io la sento dappertutto intorno a me, anche nel caffè: ma sono io che sono in essa». Allegria. A proposito: spero non vi siate persi la battuta di Berlusconi che dice a Ibra di tagliarsi i capelli. Se è vera, tutta invidia.
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