mercoledì 26 luglio 2017

Storie strane, quelle di certe canzoni. Partono parlando di un secolo fa e sembrano non arrivare mai al cuore. Poi però cambiano registro, ed è allora che giungono a destinazione: per raccontarci l'oggi e magari pure metterci in guardia su quello che noi rischiamo di combinare al domani. Il domani di chi, come ieri fecero i nostri bisnonni, lascia la sua terra per cercare fortuna in Italia. «Abbandona la terra, mi hanno detto: lavora nella fabbrica, diventerai operaio! ...Carica scarica monta, suda fatica smonta... La fabbrica di nebbia camminerà da sola, non sono diventato operaio: e non sono più contadino, sono senza lavoro... Ho fatto la valigia, l'ho legata con il vento, emigrato in Germania, montierenkette catena di montaggio... Carica scarica monta, suda fatica smonta... Arbaiten, arbaiten, lavorare, lavorare... Non so più chi sono, non so più nulla... Camicia di forza, doccia fredda, elettrochoc, sono tornato! Mi hanno messo qui, tra i vestiti di bianco, che girano sempre in tondo a contare il tempo di quando mai... Oggi? Domani? Adesso? Quando?».

Sono percorsi strani e da brividi, quelli delle canzoni di artisti che a un certo punto hanno lasciato le «canzonette» per osare parole diverse, capaci di spaventosa attualità. Come fece nel 1997 Marisa Sannia, scrivendo e incidendo «I vestiti di bianco».

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