Prima un’ennesima visita di Ursula Von der Leyen, con l’annuncio di un impegno effettivo a finanziare cruciali investimenti in materia energetica. Poi un vertice finalmente positivo a Berlino, con la firma di accordi di cooperazione bloccati da anni. Infine, l’esito di una maxioperazione di polizia internazionale resa nota da Europol, che ha posto fine a una serie imponente di crimini attraverso la regione. Tra la fine di ottobre e l’inizio del novembre, mentre le prime brume autunnali cominciavano a calare, nuovi e promettenti spiragli di luce si sono accesi sui Balcani, da secoli l’area più turbolenta e foriera di crisi per l’Europa.
Accanto ai 500 milioni di euro stanziati da Bruxelles per il sostegno alla penisola nella transizione verso l’energia pulita, il segnale politicamente più rilevante è arrivato dall’intesa raggiunta il 3 novembre nella capitale tedesca, nell’ambito del “Processo di Berlino” promosso nel 2014 da Angela Mekel, tra i leader di Serbia, Kosovo, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord e Albania. I leader dei sei Paesi hanno sottoscritto tre documenti che faciliteranno la libera circolazione dei cittadini in tutta la regione e il riconoscimento reciproco di alcune qualifiche professionali come medici, dentisti e architetti. In apparenza piccoli passi, ma di notevole significato se solo si pensa che Belgrado non riconosce ancora l’indipendenza del Kosovo, affiancata peraltro in questo da ben cinque Paesi dell’Unione (Spagna, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro).
Perché c’è poco da fare: la costruzione dell’Europa, tanto più il suo allargamento, sono frutto di un cammino lento e sempre faticoso, dove ogni minimo avanzamento è prezioso e pone le basi per ulteriori progressi. Qualche giorno prima del vertice di Berlino, il Commissario Ue all’allargamento Oliver Varhely aveva mandato segnali poco incoraggianti proprio al governo di Pristina, in pratica confermando che il Kosovo resta l’unico Paese dei Balcani occidentali i cui cittadini hanno ancora bisogno di un visto per entrare nei confini dei Ventisette, anche solo per turismo. Ora la speranza è che nuovi e più importanti sviluppi emergano il 6 dicembre a Tirana, dove è convocato il prossimo vertice dei sei capi di governo, sempre sotto l’egida di Bruxelles.
Nell’attesa, il giorno successivo al summit di Berlino, un’altra buona notizia è arrivata attraverso Europol, che ha diffuso i risultati di un’importante operazione anticrimine coordinata fra 28 nazioni, Ue ed extra-Ue, ma concentrata soprattutto nell’area balcanica. Tra il 24 e il 29 ottobre, circa 16mila tra unità di polizia e autorità doganali hanno messo nel mirino traffici di armi da fuoco e di droga, tratta di migranti e di esseri umani, coinvolti nello sfruttamento sessuale e nell’accattonaggio forzato. Risultato: una maxi-retata di 382 persone, arrestate per vari reati al termine di 75mila controlli e quasi un migliaio di perquisizioni, con l’acquisizione di prove per l’avvio di altre 130 indagini e il sequestro di numerose armi da fuoco. L’azione congiunta contro la malavita organizzata è importante non solo per aver stroncato attività gravemente illecite in una zona ad alta densità criminale come la rotta balcanica, ma anche perché conferma la capacità degli organismi europei preposti – oltre ad Europol, anche Eurojust e Frontex - di coordinarsi ed agire con efficacia e unità d’intenti. Un segnale che rassicura tutti i cittadini dell’Unione.
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