La sua biografia appena pubblicata da Einaudi, Mi prendo il mondo ovunque sia (scritta con Sabrina Pisu, pagine 268, euro 19,00) è dedicata a Leoluca Orlando e alle bambine di Palermo: il sindaco della primavera del capoluogo siciliano con cui Letizia Battaglia ha condiviso anche un impegno politico e con cui ha potuto realizzare il sogno di aprire il Centro internazionale di fotografia ai Cantieri culturali alla Zisa; e loro, le sue bambine, specchio di lei “bambina indomabile”.
«Mi sono accorta con il tempo – racconta Letizia Battaglia – che la fotografia non mi permetteva solamente di raccontare il mondo, ma anche me stessa, la mia inquietudine, l’incanto che mi sembrava perduto. E di cercare l’innocenza e la bellezza», quelle che la sua città della mafia sanguinaria che lei ha raccontato in prima linea le stava rubando. «Un’innocenza che ho trovato nelle bambine. Ogni volta che le fotografavo mi tremavano le gambe perché in loro ho sempre cercato e rivisto me stessa, la bambina che ero sta, con quello sguardo sul mondo soave e greve insieme, pulito.
Mi piace immortalare le bambine in quell’età che si affaccia all’adolescenza, con i loro corpi magri, i capelli lisci che scendono sul viso, le occhiaie nere. Quell’età in cui i sogni sono in bilico, possono infrangersi da un momento all’altro sulla realtà. Per questo le bambine che ritraggo quasi sempre non sorridono, hanno perso la gioia com’era successo a me, guardano il mondo con la serietà con cui lo guardavo anche io alla loro età. Ogni volta che fotografo una bambina mi perdo e mi ritrovo, muoio e rinasco ogni volta». Così è stato per la bambina con il pallone al quartiere La Cala, scatti fra i più famosi e iconici di Letizia Battaglia.
Uno degli scatti della "bambina con il pallone", quartiere La Cala, Palermo, 1980 - Letizia Battaglia
«Ero in una trattoria con Franco Zecchin e un altro bravo fotografo, ormai all’estro da tempo, Ernesto Bazan. Quando abbiamo finito di pranzare siamo andati a sederci fuori per un caffè. Un gruppo di bambine stava giocando per strada. Mi alzai precipitosamente e le raggiunsi. Una bambina molto magra attrasse la mia attenzione. Le puntai addosso l’obiettivo. Era stupita, forse intimorita, la spinsi dolcemente come in sogno verso il portone, contemporaneamente lei alzò il braccio sopra la testa, il pallone sempre in primo piano». Si creò «un’alchimia perfetta». Poi «lei tornò a giocare. Diventò la bambina normale che era, feci altre fotografie in cui lei è ridente mentre gioca con il pallore».
Letizia Battaglia tante volte si è chiesta che fine avessero fatto le sue bambine, le sue donne. «Così l’anno scorso mi misi a cercare seriamente la bambina con il pallone. Volevo sapere dopo 38 anni di lei, della sua vita, chi era diventata?». L’ha ritrovata attraverso la trasmissione Chi l’ha visto?: «È arrivata una donna meravigliosa, alta, elegante nella sua semplicità. Ci siamo abbracciate. Mi ha raccontato di essersi sposata con un poliziotto e che anche suo figlio fa il poliziotto. La mia bambina era diventata una splendida donna, bella e onesta. Non mi aveva tradito».
Un racconto appassionato che scorre nella pagine della sua intensa biografia, mettendosi pienamente a nudo. Lei, Letizia Battaglia, la sua vita, Palermo e le sue contraddizioni, la mafia e la sua “liberazione”, il confronto continuo con i giovani e il centro di fotografia. Letizia, idda, la bambina che ha realizzato il suo sogno.
Ha pensato alle sue bambine anche quando – partecipando al progetto artistico e culturale di Stefano Guindani per Lamborghini With Italy, for Italy (Skira, pagine 248, euro 60), un viaggio nella grande bellezza italiana con 21 visioni di altrettanti affermati fotografi affermati ed emergenti – ha “giocato”, a 85 anni e i capelli rosa, con una Aventador Svj gialla. Due scatti assolutamente diversi che si incontrano: la macchina fotografica di Letizia e la macchina fiammante della casa bolognese del “toro”. Letizia Battaglia accetta la sfida a suo modo. «Io non faccio still life» e porta la Lamborghini nel cuore della sua città, in mezzo al popolo festante della Vucciria con le bambine in primo piano: «Ho scelto di ritrarre bambine perché Palermo, per me, è proprio questo: una bambina, lo sguardo innocente di una persona che cresce che sogna e spera. Allo stesso modo io sogno che Palermo, l’Italia, il nostro mondo diventino posti in cui prevalga la giustizia umana. Questi sono stati il mio credo e la mia missione da fotogiornalista, nella ferma convinzione che le fotografie abbiano il potere di rafforzare cultura, identità e moralità. Questo è il futuro in cui spero».
Le bambine di Letizia con la Lamborghini sullo sfondo sono finite invece nel tritacarne della superficialità dei social, scatenando polemiche e commenti talmente accesi da indurre il sindaco Orlando a chiedere che venissero rimosse dai canali online del marchio. Quegli scatti restano nel pregevole volume appena uscito. Passato il vento della polemica, le scorriamo e le rivediamo nell’insieme, spiegati dalla fotografa con quelle parole piene di umanità. Che fanno il paio con quelle della sua biografia. Del suo impegno. Del suo amore per Palermo e per i sogni di quelle bambine. Sentita a caldo da Michele Smargiassi su La Repubblica Letizia Battaglia, amareggiata e infuriata, aveva risposto così: «Ma le avete guardate, le mie fotografie? Le avete capite? Le mie bambine, sono lì in primo piano, la macchina resta dietro, messa lì quasi senza significato. Le bambine guardano me, guardano il mare, non guardano l'automobile, lo capisci questo?». La sbandata è social, è ancora una volta di chi si ferma all’apparenza, al primo sguardo, di chi cerca un pretesto per alimentare il caso del giorno, di chi riduce la storia a un post e a un pugno di like. Fra qualche anno cercheremo quelle bambine alla Vucciria con la Lamborghini per sapere che donne sono diventate, se hanno realizzato i loro sogni. L’unica cosa che sta a cuore a Letizia Battaglia.
Una foto, 971 parole. E zero polemiche.