«Opinione» e «Verità» siedono assieme sui più alti scranni della conoscenza popolare quale falsificato, e pericolosissimo, diritto universale ad esprimere qualsivoglia pensiero, da parte di chicchessia, in qualunque contesto (purché pubblico, ovviamente). Come in una distorsione creata ad hoc della celeberrima massima di Voltaire, tutti hanno ragione (quel tanto di ragione che dura lo spazio della sua enunciazione) di modo che non l'abbia nessuno. Il «dibattito pubblico» è dunque una sorta di «sassaiola» di enunciazioni disparate in cui a soccombere, in realtà, sono più sottili armi persuasive. E se «il potere è il linguaggio» (Byung-Chul-Han) siamo sempre più individualmente costituiti da frammenti di sintassi e capricciosi lessici dove ciascuno si sente legittimato nel suo piccolo pianeta privato (come nel «Piccolo principe»). Come sappiamo, l'etimologia latina più accreditata nei secoli di «religione» è «re-ligio» (raccolgo, tengo assieme), all'opposto di una simbolica Torre di Babele dove, potremmo dire, «ogni mattone va per conto suo». E senza «religione» avremmo e già abbiamo una sorta di accatastamento dei più disparati frammenti di mondo. La qual cosa logora i sempre più isolati individui e le manovre del potere, che non ha opinioni, ma pura forza decisionale.
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