Perché chiudono i migliori ristoranti del mondo? Dodici anni fa abbassò le serrande lo chef spagnolo di El Bulli, Ferran Adrià, che aveva fatto scuola come la fece anni prima la Nouvelle cuisine, impersonata in Italia da Gualtiero Marchesi. Oggi chiude il Noma di Copenaghen, per 4 volte insignito miglior ristorante del mondo, con 100 dipendenti e anche qui una cucina che affonda le radici (nomen omen) nei licheni, nelle fermentazioni, nelle muffe e quant’altro si potesse sperimentare. Ma lo chef René Redzepi, 45 anni, ha sciolto il grembiule: il prossimo anno chiude perché i costi non sono più sostenibili e l’alta ristorazione si deve reinventare. Probabilmente con le consulenze, come ha fatto Adrià, perché lo stress di un mestiere a questi livelli è altissimo. Sembra la discesa dalla torre di Babele, che forse non aveva messo in conto, per sé e per i propri dipendenti, il fattore umano che si scontra con la domanda: fino a quando e perché vale un sacrificio? Reinventarsi sembra la parola di questo inizio d’anno. Lo deve fare l’agricoltura, se è vero che le temperature di gennaio sembrano aver cancellato l’inverno: scarseggia l’acqua, nuovi parassiti minacciano le colture e sugli alberi spuntano già le gemme a rischio gelate. Anche la montagna sembra obbligata a rivedere l’offerta, perché la scarsità di nevicate ha deluso i turisti che dovranno avere nuove motivazioni per risalire. Eppure, mai come in questo 2022, i ristoranti sono stati pieni, così come le località turistiche dei lunghi ponti di fine anno. Come ci si reinventa? Che queste domande arrivino davanti a un inizio – di legislatura e anche di anno – non è poca cosa. Tuttavia, abbiamo bisogno di capire se anche questo Governo gestirà solo emergenze (quelle elencate lo sono e guai se, per chi deve prendere decisioni, la parola emergenza coincide solo con catastrofe). Detto questo, non vorremmo fossero vere le parole di Giuseppe De Rita che ha descritto l’Italia, nel suo rapporto annuale, con parole come mediocrità, galleggiamento, Stato latente, senza un obiettivo per il futuro. Di solito chi fa uscire da una situazione di stallo è il maestro, il punto di riferimento, la personalità che ha una visione. Ma se tutto o tutti vengono dati in pasto alla cultura della rissa che viene rappresentata dalla televisione, dai social e spesso anche dalla politica, la fase di latenza rischia di diventare palude. Non sarebbe meglio tirare fuori dal cassetto la ricerca e la capacità di affrontare sul nascere i problemi che si stanno ponendo? Sennò tutto ciò che è irrisolto resta solo alimento per la prossima rissa.
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