I soldati di Erode correvano come cani. Correvano, cani. Uscendo dal palazzo avevano ingurgitato il vino speziato che brucia via tutti i pensieri. E cominciato a colpire senza nemmeno guardare. Si avventavano sulle culle o tra le braccia delle madri. Solo il tempo di morire. Non avevano occhi i soldati. Alcuni sono stati trovati a vagare nel niente molte ore dopo. Le madri sono restate di pietra. Perso il senno. Alcune cadute a terra non volevano più alzarsi. Che bambino cercate, non il mio… Dicevano o non riuscivano a dire, non è il mio bimbo, non è lui. Erode è facile alla strage. Ma stavolta cosa lo ossessiona? Le madri non sanno dove nascondersi, sguardi come voli impazziti. Dove si può nascondere un bambino allo sguardo radar del Re? Sono restate immobili millenni. Sono ancora a terra, o a braccia distese e smarrite sulla porta, sedute nel buio della stanza. Sono immobili, mormorano i nomi degli innocenti. Non le sentite? A Erode un male divorerà il ventre e la bocca, sarà sepolto su una collina da dove si vede Nazareth, il luogo dove cresce il bambino che non ha trovato. I piccoli innocenti sono stati la pattuglia che ha protetto la fuga del re bambino. Sono stati lo scudo, i suoi primi angeli custodi. Ditelo alle madri, ripetetelo sempre, carezzando le fronti impietrite.
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