La definizione di reality-talent per un programma televisivo è piuttosto impegnativa. Ai reality e ai talent singolarmente siamo abituati da tempo. Un po' meno ai reality-talent, ovvero a un genere che ne mette insieme due. In effetti, Voglio essere un mago!, il martedì in prima serata su Rai 2 (prodotto con Stand by me), è un mix (o quanto meno ci prova a esserlo) tra un reality stile Il collegio e un talent come Amici con la differenza che il talento non va dimostrato con il canto o il ballo, ma con la magia. E questa è un'idea sicuramente originale. I ragazzi coinvolti, tutti dai 14 ai 18 anni, sono aspiranti incantatori e illusionisti riuniti in un castello trasformato in scuola di specialità magiche con la guida di insegnanti esperti e un «magister», Raul Cremona. Mentre la narrazione è affidata alla voce fuori campo di Silvan, «il mago dei maghi». Gli «apprendisti», però, vivono insieme ventiquattr'ore su ventiquattro per cinque settimane, senza collegamenti con l'esterno. La vita «in cattività» comporta così la nascita di amicizie e qualche innamoramento, anzi: le vicende sentimentali prevalgono spesso su quelle «professionali». Insomma, il reality prevale sul talent. Anche a scuola l'effetto reality alla Collegio, con l'esame di sbarramento, l'espulsione e Cremona simil preside, prevale ancora sul talent. In più, nella seconda puntata sono entrati in scena i cosiddetti «Babbaloni»: giovani influencer, due ragazze e due ragazzi, estranei al mondo della magia, ma veri e propri «maghi dei social». Il loro arrivo ha scatenato gelosie e messo in crisi le coppie appena formate. Il reality ha quindi continuato a prevalere sul talent. Per cui, al di là del gioco di definizioni, Voglio essere un mago! riesce solo in parte a essere un reality-talent. Lo spettacolo della magia arriva troppo tardi, nel finale di puntata, quando i ragazzi si mettono finalmente alla prova.
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