Nella mia ultima sessione di navigazione non ho incontrato nulla di particolare, né quantitativamente (oltre agli equilibri consueti, vedo solo una certa persistenza di approfondimenti della Laudato si'), né qualitativamente. Così ho preso lo spunto della storia di oggi dal mio lavoro all'Editrice missionaria (Emi), che in questo momento riguarda i missionari martiri degli ultimi decenni.Succede che, per completare e verificare alcune brevi note biografiche, mi torni utile interrogare la Rete, e che questa raramente mi accontenti: io lancio su Google nomi di frati e suore morti in circostanze drammatiche e il robot mi rimanda notizie di vivissimi calciatori, giornalisti, registi… Oppure, se i religiosi erano particolarmente conosciuti e apprezzati nel territorio di origine, nomi di pizzerie e minimarket posti in vie a loro intitolate. E ciò sebbene gli algoritmi debbano aver abbondantemente informato il motore di ricerca sui miei interessi prevalenti.Pazienza se sto cercando Edimar, ragazzo di strada ucciso a Brasilia mentre scopriva il Vangelo, e mi ritrovo solo l'omonimo centrocampista del Chievo, ora in prestito al Cordoba. Pazienza anche se il don Andrea Santoro martire in Turchia arriva sedicesimo, dopo una dozzina di ricorrenze per il famoso conduttore televisivo Michele inframmezzate da un salumificio e da un docente universitario. Ma che il non eccelso portiere argentino Sergio Romero e l'ormai anziano regista statunitense George A. Romero (quello degli zombi) precedano, almeno nelle ricerche degli italofoni, l'arcivescovo di San Salvador Óscar Romero, malgrado la recente, popolarissima beatificazione, mi dà un po' da pensare.Fino a un certo punto, però. Né il portiere Romero, né il conduttore Santoro si candidano a testimoniare null'altro che la loro maggiore o minore abilità con il pallone e davanti alla telecamera, spesso profumatamente pagata. La testimonianza dei loro omonimi morti in odium fidei è tutt'altra, e ben diversa la loro ricompensa.
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