Per una volta esco un po' dal mio confine "sportivo", o forse no, giudicate voi. D'altronde in questa rubrica, da ormai esattamente cinque anni, ci siamo allenati ogni settimana a considerare lo sport come uno strumento per leggere il mondo e, se possibile, contribuire a renderlo un posto un po' migliore. Leggo, con entusiasmo, che l'autorizzazione al primo vaccino contro il Covid-19, da parte dell'Ema (l'Agenzia europea per i medicinali) potrebbe arrivare in anticipo rispetto alla data presunta del 29 dicembre. Non sto a sindacare del perché Regno Unito e Usa siano partiti prima, ma prendo per buono ciò che si dice: l'autorizzazione in Europa potrebbe arrivare il 23 dicembre. Bene, anzi benissimo. Io, tuttavia, vorrei un Paese pronto a cogliere, dopo quello che si può quasi definire un miracolo scientifico, questo ulteriore e inaspettato vantaggio. Mi aspetto che sia pronta una logistica capace di coordinare il piano vaccinazioni e scendere in campo dal 24 dicembre stesso.
Già, un giorno dopo. E il giorno prima del santo Natale. Certo il Natale è un momento di straordinaria importanza per chi crede e anche per chi non crede, ma c'è forse qualche gesto di umanità più nobile ed evangelico del rispetto e della salvaguardia del dono della vita? Perché se l'autorizzazione dell'Ema arrivasse il 23 dicembre e la logistica per la somministrazione dei vaccini si mettesse in moto il 15 gennaio ci sarebbero 22 giorni di differenza, che a una media anche soltanto di 450 morti al giorno, fa 10mila persone... So che questa è una semplificazione, che il dato potrebbe essere meglio (ma anche peggio) e che tanti che sono oggi in terapia intensiva, purtroppo, non si potranno comunque salvare grazie al vaccino, ma so anche che il vaccino ne salverà tanti altri. E se anche non conosco a fondo i problemi organizzativi, questo è ciò che penso. Se traduciamo in termini di salute pubblica il precetto evangelico dell'amare il prossimo come se stessi, oggi tutto ciò significa vaccinarsi e il prima possibile. Non c'è nulla di più vicino allo spirito del Natale: nascere fisicamente e rinascere spiritualmente. Vedere gli operatori sanitari, gli anziani, i più fragili vaccinarsi magari nel giorno stesso del Natale ne sono certo, renderebbe felice anche il nostro Bambino Gesù.
E qui vengo alla seconda parte e provo a rientrare, almeno parzialmente, nel recinto sportivo. Perché non usare gli impianti, i palazzetti, gli stadi che, tra l'altro, sono tutti capaci di garantire distanze e zone di attesa confortevoli, per farli diventare degli hub per la vaccinazione e, ancor più, luoghi simbolici della salute? Perché non usare l'esercito di volontari del mondo dello sport, le associazioni, le federazioni, gli enti di promozione sportiva già abituati a organizzare manifestazioni con grandi flussi di persone, per aiutare negli aspetti di logistica e coordinamento? Perché non lanciare una grande campagna di testimonial sportivi disposti a farsi vaccinare in pubblico o in televisione come fece nel 1956 Elvis Presley con l'antipolio? E infine, difendendo a ogni costo il principio della gratuità del vaccino, perché non abbinare una quota da poter versare, esclusivamente su base volontaria e senza che questa garantisca nessuna corsia preferenziale per accedere alla somministrazione nel rispetto totalmente di un piano di priorità predisposto dagli organi competenti? Si chiama "principio di reciprocità", se ne occupò a lungo l'antropologo Marcel Mauss che definì il dono un «fatto sociale totale». Mai come in questo caso il dono che la scienza ci ha fatto potrebbe essere restituito, ribadisco esclusivamente su base volontaria e senza nessuna condizione di favore, da chi può permetterselo destinando il ricavato alla ricerca scientifica o a progetti di solidarietà per coloro che il Covid ha messo in ginocchio. Credo che funzionerebbe, anzi sarei disponibile a farlo, restituendo il costo di questo vaccino, davvero salvavita, per me e per tutti i miei cari.
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