Françoise Héritier è un'illustre antropologa, allieva prediletta di Claude Lévi-Strauss, del quale ha preso il posto nel Collège de France. Studiosa delle culture africane, è anche stata tra i fondatori della televisione culturale franco-tedesca Arte. Ebbene, questa icona dello strutturalismo francese (che l'anno prossimo compirà ottant'anni) l'estate scorsa ha ricevuto una cartolina dal suo medico con questo semplice saluto: «Dalla mia settimana "rubata" di vacanze in Scozia».Rubata perché? Il dottore, disponibile giorno e notte per i suoi pazienti, non ruba un bel nulla: non solo merita una vacanza ma, esagerando nell'attività lavorativa, rischia di perdersi le piccole cose belle della vita. Affettuosamente la Héritier gliel'ha fatto notare nella risposta, e ha incominciato a elencare alcune di quelle piccole cose, attingendole, più che dalla memoria, dal proprio vissuto. E si è talmente lasciata prendere la mano che ne è nato un piccolo libro, in buona posizione nella classifica italiana delle vendite: Il sale della vita (Rizzoli, pp. 96, euro 6; traduzione di Francesco Peri).«Le risate a crepapelle, le chiacchiere al telefono, le lettere scritte a mano, i pranzi in famiglia (non tutti) o con gli amici, la birra alla spina, i calici di vino rosso o bianco, il caffè al sole, le pennichelle all'ombra, mangiare ostriche in riva al mare o ciliegie direttamente dall'albero, arrabbiarsi (ma non sul serio), fare collezione di qualcosa (pietre, farfalle, scatoline o chissà che altro), la beatitudine delle sere fresche d'autunno, i tramonti, restare svegli la notte mentre tutti gli altri dormono...» e così via fino all'ultima pagina.Lo specialista degli elenchi è Georges Perec (1936-1982) che in Je me souviens (1978) ha redatto uno sterminato inventario di piccole cose, consone all'esperienza minimale di ogni lettore. Parentesi: straordinario personaggio, Georges Perec, animatore dell'OuLiPo (Officina di letteratura potenziale), fondato nel 1960 da Raymond Queneau con altri letterati e matematici. Perec è autore di La disparition (1969), lipogramma di trecento pagine scritte senza mai usare la vocale "e", al quale fa seguito speculare Les revenantes, scritto con la "e" come unica vocale; suo è anche il più lungo palindromo mai scritto,9691, cinquemila parole leggibili da sinistra a destra e da destra a sinistra. Chiusa la parentesi.La Héritier non ha dunque il primato dell'originalità e, se volessimo andare nel raffinato, potremmo ricordare il grandioso elenco dei Prìncipi dell'esilio compilato da Saint-John Perse in Exil (1942): «Colui che, a mezzanotte, erra sulle logge di pietra per valutare i titoli di una bella cometa; colui che, fra una guerra e l'altra, vigila sulla purezza delle grandi lenti di cristallo; colui che si è alzato prima di giorno per ripulire le fontane; colui che lacca in alto mare, con figlie e nuore, ed ecco che le ceneri della terra sono eliminate...», e avanti per pagine e pagine. Umberto Eco, dal cantuccio suo, ha dato un contributo anche teorico con Vertigine della lista (2009).Tipica della Héritier è una meticolosa dolcezza femminile che ne fanno una specie di Szymborska in prosa francese, non immemore dell'antropologia professionale: «Il mondo esiste nei nostri sensi, prima di essere come un tutto ordinato nel nostro pensiero, e dobbiamo fare il possibile per conservare nelle fasi successive della nostra esistenza questa facoltà creatrice di senso: vedere, ascoltare, osservare, sentire, toccare, accarezzare, percepire, annusare, assaggiare, avere "gusto" per ogni cosa, per gli altri, per la vita». Dunque, vivere, ricordare, scrivere i ricordi, leggerli per riviverli con tutti e cinque i sensi esterni e con gli altrettanti sensi interni.
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