A volte mi capita di guardare indietro, per evitare di pensare avanti. E quando lo faccio, mi convinco che la mia è stata la generazione più felice di sempre. Noi figli degli anni Sessanta, che abbiamo abitato i Settanta da giovanissimi e gli Ottanta da maggiorenni, siamo quelli che hanno vissuto gli Happy days, troppo piccoli per capire la generazione appena prima della nostra. Il 68 al massimo era un autobus, non un pensiero. Eravamo ancora troppo giovani per comprendere gli Anni di piombo, le Brigate Rosse e le stragi nere. Siamo quelli cresciuti nella libertà assoluta delle vacanze estive fino a fine settembre, e dei motorini truccati come massimo della trasgressione. Andavamo a scuola con il grembiule e la cartella sulle spalle, e non ci si aspettava da noi nulla che non fosse fare i compiti, giocare, sbucciarci le ginocchia senza lamentarci e non metterci nei guai. Nessuno voleva che parlassimo l’inglese a 7 anni, o che facessimo yoga. Al massimo la piscina, la danza per le femmine, il judo per i maschi: così, tanto per dire che si faceva sport, anzi “movimento”. Poi siamo cresciuti, e il lavoro c’era per tutti. Chi più, chi meno, siamo stati schifosamente felici. Molto più dei nostri genitori e parecchio più dei nostri figli. Ricordarsene fa bene, anche se non cancella un leggero senso di colpa.
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