Nei giorni a cavallo del 24 maggio, centenario dell'entrata dell'Italia nel primo conflitto mondiale, la Rete dell'informazione ecclesiale ha parlato di «guerra», in senso proprio e non metaforico, una volta su quattro, ma non sempre era la «Grande» guerra, ovvero la «prima» guerra «mondiale», quella di cui si diceva.C'erano quelle «civili» del Salvador e del Mozambico degli anni Ottanta, evocata a proposito dei due nuovi beati di questi giorni, monsignor Romero e suor Stefani. Esse rappresentavano una declinazione effettiva della guerra altrimenti «fredda» combattuta a lungo tra Stati Uniti e Urss, e citata oggi dai vescovi nordamericani in un appello a favore di un effettivo disarmo nucleare.E c'era anche, naturalmente, quella «santa», secondo gli islamisti, «assurda» e «interminabile» per le vittime civili, che si continua a combattere su più fronti in Medio Oriente, e nel contesto della quale abbiamo assistito al nuovo rapimento di un sacerdote cristiano, padre Murad.Inoltre il cinema, premiando con la Palma d'oro del Festival di Cannes il film "Dheepan", ha riportato d'attualità anche la guerra, essa pure «civile», combattuta in Sri Lanka tra il governo e i Tamil, e i drammi vissuti in Occidente dai suoi profughi.Quanto alla «Grande» guerra, l'altro aggettivo che le fonti ecclesiali ("Avvenire" in testa) hanno potuto accostarle con più efficacia è stato «inutile»: lo stesso speso da papa Benedetto XV, insieme alla qualifica di «strage», nella celebre lettera del 1° agosto 1917, e ripreso da papa Francesco durante il Regina Coeli di domenica. E ripescando su YouTube la "Canzone del Piave", che ancora la mia generazione ha imparato a memoria alla scuola elementare, sono stato sollevato nel constatare che la sua retorica evoca, al massimo, una vaga sacralità pagana (il mito del fiume che ha combattuto a fianco dei «fanti»), ma in nessun modo rivendica che il Dio di Gesù Cristo fosse schierato dalla parte «giusta».
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