C'è vicino a casa una bottega di drogheria egiziana. Il proprietario, un cristiano copto, ci lavora da mattina a sera. La giovane moglie ha un bambino appena nato e un altro sui tre anni, non accolto all'asilo per qualche ottusa ragione di permessi di soggiorno. Così, Giovanni, un bambinetto esile e timido, è sempre sulla soglia della bottega, fra le mani un giocattolo di cui si è stancato.
L'altro giorno l'ho trovato, solo, all'angolo della strada, a cento metri dal negozio e davanti a una strada trafficata. Preoccupata gli sono andata vicino, «Che cosa fai qui? Vieni, ti porto dal papà», e l'ho preso per mano.
Ma in quell'istante ho visto i suoi occhi, fissi verso la bottega, e allora ho capito: non era scappato, voleva solo che il padre lo venisse a riprendere. Voleva che si accorgesse che mancava, e lo venisse a cercare.
E proprio allora l'uomo si stava avvicinando a noi, ansioso, a grandi passi. Brusco ha detto qualcosa al figlio in egiziano, poi lo ha preso in braccio e lo ha stretto a sé, con sollievo. E io ho visto come ha sorriso il bambino allora: felice perché suo padre era venuto a prenderlo, quando lui se ne era andato.
Sono anche io, siamo tutti un po' Giovanni, ho pensato. Ci allontaniamo, annoiati o illusi, in cerca di altro - ma poi come vorremmo un padre buono, che ci tornasse a prendere.
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